La domanda è ricorrente. In questi lunghi mesi di
viaggio, la gente incontrata lungo la strada l’ha posta di continuo al ragazzo
italiano:
-Ti manca il tuo Paese? Hai nostalgia?-
La prima risposta è un sorriso.
La seconda è un
gesto: raccogliere lo zaino da terra e riprendere il cammino. Sempre più a
nord, in una parte di Europa non così nota, perché non semplicissima da
raggiungere.
Fredda, lontana.
I giorni, gli attimi, i mesi si inseguono, così
come quella domanda che, alla prima occasione utile, riecheggia:
-Ti manca il
tuo Paese? hai nostalgia?-
E allora ecco tutti gli interrogativi nella mente
del ragazzo italiano. “Cos’è il mio Paese?” “Per cosa mi si
chiede se io provi nostalgia?”
La casa dove vivono ancora, sempre quieti e
gentili, divertiti e divertenti, per bene, i miei genitori?
O il profumo della
domenica mattina, quando la città assopita si sveglia al suono delle vecchie
campane?
O il rumore di una città sempre più bella, giovane, musicale?
O le
battutacce sconce degli amici, durante le fresche notti lungo il mare, tra il
fumo denso di sigaretta e vecchie canzoni?
E ancora, cos’è il mio paese? Il mare, forse?
O
la cattiveria impunita di certa gente, vecchia e tramontata, dall’anima solcata
di rughe molto più del volto livido e rugoso?
O le processioni, quelle lunghe
sfilate in grado di congestionare e “mettere in ginocchio” una intera
città?
“Sì”, la risposta del ragazzo.
Sì, la
mia città è tutte queste cose. È tante cose.
La mia città non la trovo mica aCapo Nord, sotto i raggi di un immenso sole che troneggia nel cuore della
notte. E la mia città non la posso trovare mica sulle barche di una qualche
insenatura finlandese, dove le teste dei merluzzi seccano al sole e le donne si
affacciano dai pontili di legno.
La mia città, quel piccolo quadro di vie, piazze,
vecchie case e stupende chiese, non la trovo mica nei centri storici anseatici,
dove le atmosfere dell’est Europa si confondono con quelle fiamminghe, e dove
le notti boeme segnano il passo del divertimento metropolitano.
E la mia città non c’è lungo i colli morbidi
della Lapponia, dove le renne ti camminano a fianco, lungo la strada, e i
villaggi sembrano pagine dipinte di un vecchio libro di storie per bambini.
Gli occhi di mia madre (“grazie a lei, per
avermi messo al mondo”), il sorriso di mio padre (“grazie a lui,
semplice e profondo”) non li ritrovo negli sguardi freddi del popolo del
nord, semplice e razionale, preciso e scrupoloso.
Potrebbe continuare per ore, il ragazzo italiano.
Ma a quella domanda sulla nostalgia risponde con un sorriso e con quel gesto,
zaino in spalla e gambe in marcia, lungo la via. In un’Europa bella, piena di
vita e di amore. Piena di avventure e solitudini. Per preservare l’amore. Per
viverlo.
E per provare nostalgia, sempre di più, lì giù,
in fondo al cuore.