DI PASQUALE RAPIO
In merito al dibattito sulle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) e alla difficoltà di trasmettere in modo efficace il potenziale strategico di questo innovativo strumento di sviluppo energetico, mi preme offrire una riflessione più approfondita che possa essere di pubblica utilità e conoscenza.
Il Green Deal europeo 2050 stabilisce obiettivi chiari e ambiziosi per la riduzione delle emissioni di gas climalteranti, promuovendo una transizione energetica equa e sostenibile. La roadmap intermedia del 2030 prevede una sostanziale riduzione di tali emissioni da parte degli Stati membri, con vincoli temporali che rendono impraticabile il ricorso a tecnologie non rinnovabili o dai tempi di attuazione troppo lunghi.
In particolare:
L’energia nucleare, pur considerata a basse emissioni, richiede tempi di realizzazione superiori ai 15 anni e risulta incongruente con l’indirizzo referendario nazionale e con le tempistiche europee;
Le fonti rinnovabili tradizionali come il geotermico, l’idroelettrico e l’eolico richiedono da 3 a 7 anni per essere operative, a causa della complessità autorizzativa e infrastrutturale.
La soluzione più efficace e immediata è dunque rappresentata dal fotovoltaico e dal mini-eolico, tecnologie che possono essere installate in tempi brevissimi (anche entro 12 mesi) e supportate da sistemi di accumulo e conservazione energetica.
In questo contesto, le Comunità Energetiche Rinnovabili assumono un ruolo fondamentale: rappresentano non solo un’opportunità tecnica, ma anche un modello energetico, ambientale e sociale innovativo, in grado di:
Favorire l’autoconsumo collettivo e la produzione diffusa da fonti rinnovabili;
Contrastare la povertà energetica e il caro bollette;
Stimolare la partecipazione attiva dei cittadini e degli enti locali nella gestione dell’energia.
La normativa nazionale e regionale più recente ha infatti rafforzato in maniera significativa lo sviluppo delle CER, incentivandone la costituzione tramite finanziamenti europei, statali e regionali.
Fino a due anni fa in Italia si contavano poco più di un centinaio di CER.
Oggi siamo a 212 comunità attive, ancora insufficienti per una vera azione di transizione energetica su scala nazionale. Uno degli ostacoli principali allo sviluppo era rappresentato dalla limitazione geografica imposta dalla cabina secondaria, che restringeva l’ambito di condivisione energetica a singoli quartieri.
Questo vincolo è stato superato con la pubblicazione da parte del GSE, il 29 settembre 2023, della mappa delle 2107 cabine primarie di media tensione. Il successivo Decreto MASE del 24 gennaio 2024 consente ora lo sviluppo di comunità energetiche più ampie, con potenza fino a 1 MW, soglia entro la quale è prevista una tariffa incentivante.
Oggi, grazie a un quadro normativo finalmente maturo e a strumenti operativi forniti dal GSE, è possibile lanciare concretamente in Italia un nuovo modello di distribuzione energetica virtuale. Le CER non sono soltanto un mezzo per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni, ma anche uno strumento per:
Alleggerire la rete di distribuzione esistente,
Evitare nuovi investimenti infrastrutturali onerosi,
Promuovere un modello partecipativo e inclusivo, capace di rafforzare il tessuto sociale.
Le difficoltà, certamente, non mancano.
Ma, come recita un vecchio adagio, “chi ha tempo, non aspetti tempo”. La posta in gioco è strategica e riguarda il futuro energetico e sociale del nostro Paese.
È tempo che la comunità cittadina, insieme alle istituzioni locali, si apra al confronto e collabori concretamente alla realizzazione delle CER.