Una giornata, quella di ieri, interamente dedicata alla
memoria del poliziotto bitontino Michele
Tatulli e alla riflessione sugli anni di piombo. Al mattino con le
celebrazioni ufficiali, nel pomeriggio con l’incontro “La Storia e Noi, il sacrificio di Michele Tatulli e la Notte
della Repubblica“, a cura
del Liceo Linguistico European
Language School e della Libreria del Teatro.
Sono gli anni
in cui tra i neologismi entrò il lemma “gambizzare” per indicare “Ferire qualcuno alle gambe con arma da fuoco in
un attentato”: attentati, appunto, come quello che coinvolse il povero
concittadino venticinquenne a Milano in una fredda giornata invernale dell’8
gennaio 1980.
«La società
doveva risuscitare dalle macerie di quegli anni – esprime il giornalista Federico Pirro -. La storia aveva un conto da pagare infelice: l’occupazione, il lavoro, l’immigrazione
interna. Erano tutte contraddizioni interne all’Italia di quegli anni».
Emerge l’ipotesi di una nuova società, la stessa che
era stata prospettata da Daniele
Lucchetti in “Mio fratello è figlio unico” (tratto in parte dal Antonio
Pennacchi “Il fasciocomunista”) – proiettato prima del
dibattito -: «La sinistra comincia a
presentare il conto –continua Pirro –gli operai in fabbrica continuavano a farsi sfruttare, nel ‘69 avviene la
tragica strage di piazza Fontana in miscuglio di progressismo e di una destra
che temeva di perdere posizione. Quella tragedia fu un grido da chi non gradiva
queste nuove sistemazioni sociali».
E poi c’è il caso di Aldo Moro e delle Brigate
Rosse che al loro “apice” toccarono anche la loro fine: le stesse Br che
tolsero la vita a Michele Tatulli.
«Cosa
devono pensare i ragazzi oggi della politica? – si chiede il
sindaco Michele Abbaticchio -. Non viviamo più quegli anni, ma di fronte a
tutti quei sacrifici non possiamo non credere più nella nostra Italia che deve
ancora di più responsabilizzarsi».
Fare una scelta politica al tempo, però, finiva per portare spesso alla
morte.
Sono i consiglieri Domenico
Damascelli assieme a Filippo D’Acciòsul palco del “Traetta”- dopo un’intera giornata di celebrazioni un po’ ovunque
in città – a fare delle scuse ufficiali alla famiglia Tatulli per la presenza
un mese fa di Barbara Balzerani, ex terrorista e dirigente della colonna
romana delle Brigate Rosse (http://www.dabitonto.com/cronaca/r/barbara-balzerani-a-bitonto-una-cittadina-indignata-e-la-terrorista-che-uccise-michele-tatulli/4986.htm).
«Parliamo di gente che non si è pentita,
che ha sei ergastoli alle spalle e gira liberamente per il paese», sottolinea
Damascelli.
«La
fine degli anni ’60 furono
caratterizzati da gambizzazione e sequestri – aggiunge D’Acciò
– cominciavamo
a fronteggiare una situazione difficile. Abbiamo vissuto quell’epoca con
frustrazione, con mancanza di esperienza da parte della Polizia del fenomeno “terrorismo”.
Sapevamo che bisognava stringere i ranghi, guardarsi le spalle. Moro è stato
anche un maestro di diritto e l’aspetto d’affetto che si creò ci fece vivere la
sua morte in maniera molto forte».
Ma allora “Cosa abbiamo
ricavato dall’esperienza?”, chiede Mario
Sicolo, direttore della nostra testata “da Bitonto” e moderatore dell’incontro: «La consapevolezza che l’adempimento del
dovere è una garanzia anche per il cittadino – risponde il consigliere di
centro sinistra -, la forza della
legalità non ci deve far demordere da quel che può essere la sconfitta di un
periodo. Il terrorismo è stato combattuto da tutti: il nostro compito è far
venir fuori dai ragazzi quegli ideali che hanno e non riescono a far venir
fuori; saranno i genitori di domani e dovranno dare risposte ai loro figli».
Forse, come suggeriva il giornalista Marino Pagano nell’incontro
svoltosi ieri mattina a Teatro con i giovani delle scuole secondarie degli
Istituti bitontini, andando a Milano prima ancora che passare dal Duomo,
bisognerebbe far tappa in via Schievano,
dove c’è ancora quel soffio di gioventù portata via al nostro Michele.