Un altro bitontino illustre è scomparso nei giorni scorsi. Si tratta di Enzo Modugno, intellettuale e teorico dei movimenti ribelli della sinistra extraparlamentare, che si è spento all’età di 87 anni. Fu tra i protagonisti di un’importante fase della storia italiana, quella delle contestazioni degli anni ’70, culminate poi con il Movimento del ’77, di cui lui fu uno dei leader. Modugno sarà ricordato giovedì 11 maggio a Roma nel centro sociale Esc, dalla redazione del Manifesto, giornale comunista per cui, in tanti anni, il concittadino ha scritto diversi editoriali.
Lo annuncia proprio il portale telematico della storica testata giornalistica, ricordando il suo ruolo nelle contestazioni sessantottine e nel Movimento del ’77: «Fu lui a promuovere l’edizione italiana della Monthly Review (celebre rivista statunitense su cui apparve anche uno storico contributo di Albert Einstei, dal titolo “Why socialism?”, ndr), lettura imprescindibile del ’68, poi leader del Movimento 77 nel momento della nascita del nuovo capitale “che si è preso il mondo”. […] Fu autore dei numerosi articoli per il Manifesto che erano sempre accolti come riflessione teorica, visione avanzata sullo stato delle cose internazionali, o nel suo stile scandalosamente inattuale invitavano, anche direttamente, a rileggere Marx».
Del ruolo di Modugno in quella fase della storia d’Italia abbiamo parlato anche noi, nella rubrica domenicale “La Politica, ieri e oggi”, ricordandolo attraverso le sue stesse parole, proferite in interviste, articoli e comparsate televisive.
«Un movimento rifiuta le strutture che potrebbero renderlo stabile: ed è proprio questa la sua forza, qualunque potere non riesce a controllarlo perché si presenta come un che nasconde gruppi spontanei» fu il parere di Modugno su quel Movimento che segnò il culmine delle contestazioni sessantottine, prima del loro declino che avrebbe lasciato spazio alle frange più estreme della contestazione e, dunque, al terrorismo, in quel periodo che, da Sergio Zavoli, sarebbe stato definito “notte della Repubblica”.
Un periodo, gli anni ’70, che lo videro impegnato su più fronti. Già nel ’76 era stato lucido curatore di Marxiana, rivista di critica della politica e dell’economia. Due i numeri pubblicati a cui si aggiunse, nel 2020, il libro «Il Cybercapitale» per la Manifestolibri, in cui analizzò l’avvento della cibernetica e il suo tradursi in un rafforzamento del controllo capitalistico sul lavoro e dello sfruttamento dei lavoratori, anziché essere un’occasione di liberazione.
Fu anche tra coloro che, il 17 febbraio 1977, contestarono il sindacalista Cgil Luciano Lama all’Università La Sapienza. Lama e la Cgil erano, infatti, gli obiettivi di una lotta contro la normale contrattualità gestita dai sindacati e dai partiti che, per i manifestanti, non rispondevano più agli interessi della gente.
Lo ricordò in un’intervista su Repubblica nel giugno ’96, in occasione dei funerali del sindacalista: «Ero uno dei dirigenti del movimento. Quel giorno in cui tirarono bulloni, c’ero anche io all’Università di Roma, a cacciare via Lama. E ora sono qui, a rendergli omaggio. Vogliamo rendergli omaggio perché ebbe il coraggio di tentare un dialogo difficile».
Nel ’78 ebbe anche modo di confrontarsi con Giorgio Bocca e Indro Montanelli, quando furono ospiti di Match, programma di approfondimento, condotto dal giornalista Alberto Arbasino, che poneva a confronto figure di diverso schieramento.
In quell’occasione, parlando con Bocca delle terminologie usate dai giovani manifestanti e contestando la stampa tradizionale, disse: «Lì c’è un modo diverso di comunicare, che permette di non essere solo lettori passivi di un giornale che proviene dall’alto, come quello che propini tu. Il movimento riprende in mano la possibilità di comunicare e di superare questa apparenza di comunicazione che è il giornale o la televisione, cioè qualcosa che riduce alla passività. I ragazzi ridiventano protagonisti attivi».
Un confronto che, nel 2011, fu commentato, sul suo blog personale, dal giornalista Andrea Scanzi che per Modugno spese dure critiche, definendolo “movimentista di professione”, “pollo di allevamento del ‘77”, “proto-troll” saccente con la pretesa di sentirsi superiore a Bocca.
Quello di Modugno era un comunismo alternativo a quello del Partito Comunista Italiano e, in particolare, a quello del Pci di Enrico Berlinguer. Modugno, infatti, fu molto critico verso la politica del comunista sardo e verso il suo “compromesso storico”, accusato di essere un’arma della classe dominante per distruggere la classe operaia e sfruttare i lavoratori: «Il Movimento del ’77 si scontrava con una sorta di postfordismo strutturale, che non fu mai paragonato al fascismo: ma operai e studenti sentivano sulla propria pelle che, in realtà, il “compromesso storico” stava facendo lo stesso sporco lavoro, stava pian piano distruggendo la vecchia classe, per produrne una nuova da consegnare, opportunatamente disciplinata, al più sofisticato sistema di sfruttamento»
E, dunque, alla politica del Pci, lui opponeva l’anima movimentista che contraddistinse il suo operato in quel decennio di lotte che furono gli anni ’70.
Forte, in Enzo Modugno, fu l’avversione alla guerra, come scrive anche il Manifesto: «Quando tiravano venti di guerra era lui a scrivere sul manifesto una delle sue analisi sugli intrecci economici alla base degli affari bellici, e anche in questi giorni sarebbe stato il caso che intervenisse».
E lo dimostrò anche a Bitonto, quando, insieme al compianto Gino Ancona, nel novembre 2014, discusse della guerra e delle “virtù inconfessabili del militarismo”, in un incontro che si tenne nello storico circolo Giordano Bruno che, qualche anno fa, era attivo in vico del Fossato, accanto a Porta Baresana.
«La guerra è strettamente legata al militarismo. La guerra non è solamente quella di rapina che noi spesso intendiamo. Guerra significa anche produzione di armi. La produzione di armi ha la funzione di creare un mercato prima inesistente, alimentando l’economia e attenuando la crisi» spiegò Modugno, sottolineando che «l’elemento importante della guerra non è la vittoria, ma la durata».