La
decisione è davvero forte.
«Attivare
ricorso per
la dichiarazione di fallimento in danno dell’azienda, autorizzando
all’uopo il sindaco a conferire procura ad litem».
Motivo?
Troppi anni di Tarsu non pagata.
Mano
pesantissima dell’amministrazione comunale contro una nota società
cittadina che vanterebbe un debito di quasi 600mila euro accumulato
dal 2003 a oggi nei confronti di Palazzo Gentile.
E
così, dopo un’attesa lunga e vana, ingiunzioni di pagamento e
falliti tentativi di pignoramento, la giunta, attraverso una
delibera di qualche giorno fa, tenta la strada più forte e rumorosa
per recuperare quanto dovuto.
La
strada del fallimento potrebbe chiudere una vicenda portata alla luce dal consigliere del Partito democratico Franco Natilla poco meno di
due anni fa (http://www.dabitonto.com/cronaca/r/tarsu-perche-il-comune-e-severo-con-i-meno-abbienti-e-non-con-i-grandi-evasori/1625.htm).
In
quell’occasione, l’ex assessore alla Polizia municipale evidenziava
come l’amministrazione comunale aveva comportamenti diversi, in tema
di riscossione tributi, tra piccole e grosse aziende.
In
particolare – sosteneva l’esponente democratico – nei confronti
dell’azienda in questione erano state poste «condizioni
favorevoli per
salvare una sessantina di posti di lavoro».
Il problema, però, era che «tra
ottobre e novembre 2012 viene incaricata una società esterna per
l’attività di recupero e vengono emanate due ingiunzioni di
pagamento per un ammontare di 250mila euro più 30mila. La ditta
destinataria del provvedimento nulla oppone, tant’è che la società
passa alla fase successiva: il pignoramento. A fine gennaio di
quest’anno (2013,
ndr),
l’azienda scrive all’ufficio Tributi, al sindaco e alla società,
per chiedere una rateizzazione di 72 tranche. A metà febbraio, parte
dal Comune una nota a firma di un dirigente pro tempore e di un
funzionario, con la quale si aderisce alla proposta. Questa
incredibile deroga al Regolamento, che prevede al massimo 8 rate, è
un autentico arbitrio che non doveva essere consentito. Tant’è
che, nove giorni dopo, la ditta addetta alle riscossioni indirizzata
traccia la cronistoria della S.p.a., sottolineando che aver aderito
in maniera inusuale e contraria alle norme vigenti, aveva interrotto
la procedura di recupero del debito. Attualmente, dopo la nostra
interrogazione, ovvio, il medesimo ufficio ha inviato una missiva
all’impresa con cui non si accondiscende più alla proposta di
rateizzazione».
Da
Palazzo Gentile, allora, decidono di intervenire, passando alle
maniere drastiche. Tant’è che nell’ultima delibera si legge che «nel
trasmettere 7 atti di ingiunzione di pagamento emessi per tributi
locali regolarmente notificati per il complessivo importo di oltre
596mila euro, si evidenzia tra l’altro l’inefficacia di misure
cautelari ed esecutive sul patrimonio della Società alternativa alla
richiesta di fallimento stante anche la presenza di plurimi protesti,
documentati da visure integrata storica allegata, compatibile con uno
stato di decozione».
Da
qui, quindi, il dare mandato al legale comunale di richiedere il
fallimento dell’azienda, «formalizzando
tale situazione agli Organi giudiziari competenti al fine di
procedere alla successiva insinuazione al passivo in via privilegiata dei crediti tributari vantati
dall’ente».
«L’amministrazione
– polemizza
Natilla in un post su Facebook – si
è attivata soltanto dopo un esposto
del sottoscritto alle magistrature penale e contabile, e una
conseguente indagine della Guardia di finanza condita da ispezione al
Comune».