Finisce con
l’ultimo, lunghissimo applauso ai due feretri di Nicola e Vincenzo Rizzi mentre
lasciano piazza Aurelio Marena.
Sono arrivati in tanti, forse più di 1000, a dare l’ultimo saluto ai
due “testimoni di vita” morti tragicamente martedì scorso a Molfetta mentre
adempivano al loro lavoro quotidiano.
Tutta Bitonto
era lì con il cuore e la mente ad abbracciare gli ultimi due martiri della nostra
città, due eroi che se ne sono andati via in un modo assai duro da accettare.
E
tutto da verificare.
La chiesa, la
basilica dedicata ai Santi Medici Cosma e Damiano, si riempie nel giro di pochi minuti.
All’esterno, i
manifesti di cordoglio non si possono contare e sono a cascata.
All’interno, ai
piedi dell’altare, ci sono le bare di Nicola, il padre 49enne a sinistra e
quella di Vincenzo, il figlio 28enne, sulla destra.
Di fronte a lui c’è la
mamma, Vincenza Natilla, che ha seguito l’intera messa funebre seduta su una
sedia dinanzi al feretro del figlio.
Dietro, nelle primissime file, Alessio, il
figlio 21enne dimesso venerdì dall’ospedale di Bisceglie e il primo a calarsi
in quella cisterna mortale, i fratelli di Nicola, il figlioletto di Vincenzo
con la giovane mamma, parenti stretti, compagni di lavoro, dipendenti e amici
di una vita.
A sinistra dell’altare, in un angolo a parte, stanno i
gonfaloni dei comuni di Bitonto e Molfetta e siedono le autorità, in primisil sindaco Michele Abbaticchio e la “collega” Paola Natalicchio, il deputato
pentastellato Francesco Cariello, Christian Farella, parente delle vittime.
Ovviamente anche gran parte di giunta comunale bitontina, consiglieri, tanta
gente comune, per dimostrare che «muoiono i corpi, le ideologie, ma le
biografie resteranno per sempre scalfite nella bellezza della vita», come
ha ricordato il rettore della basilica, don Ciccio Savino, in un momento della
celebrazione.
Già, perchè Nicola e
Vincenzo non possono essere dimenticati.
«In questi
momenti è facile dire parole in libertà e molto più vicine alla Torre di Babele
che non alla Pentecoste – ha esordito don Ciccio – ma è proprio in
queste occasioni che serve silenzio per cercare di dare un senso a quello che
un senso non lo ha».
Fragilità, giustizia
e vigilanza. «Sono queste le tre parole chiave che emergono da questa triste
fatalità», sottolinea il rettore della basilica. Secondo cui «fragilità
perché ogni giorno ci dobbiamo chiedere chi siamo e cosa siamo e dobbiamo
sempre ricordare di avere a che fare con la caducità e la vulnerabilità. Potevano mai pensare Nicola ed Enzo l’altro giorno mentre
andavano a lavorare di non tornare più a casa dove c’era una famiglia che
attendeva il loro ritorno?».
«Giustizia è una parola che è uscita dal nostro
vocabolario. Viviamo in un mondo dove vincono le ingiustizie acclarate, specie
nella sfera del sociale. È ingiusto morire oggi di lavoro perchè Dio e il cuore
non lo vogliono. La parola di Dio ci fa comprendere che le anime giuste sono
nelle sue mani. Siamo chiamati a vivere, testimoniare, attivare procedimenti di
giustizia. Non si può prescindere dal binomio sicurezza e giustizia, e non
possiamo dormire sogni tranquilli finché questi due valori non saranno tandem
della garanzia sul lavoro».
Poi c’è la
vigilanza, «che fa rima con responsabilità, perché non si può vivere una
vita di irresponsabilità e da irresponsabili».
Infine, l’appello alla mamma
Vincenza: «Da questa morte si capisce la logica del dono, con Nicola che ha
dato la vita per Alessio e a sua volta Vincenzo ha cercato di salvare quella
del padre. Hanno sacrificato loro stessi per salvare la vita degli altri».
E
l’affondo: «Se si continuerà a morire di lavoro significa che siamo all’alba
della democrazia e alla preistoria della civiltà».
Arriva
anche il messaggio di Abbaticchio, che parla anche a nome di Natalicchio. Due
città unite in un solo grande lutto. «In questi primi anni da sindaco,
ho visto una città che non rispetta
il territorio, non ha senso di responsabilità verso l’altro e l’intera
comunità. Ma oggi (ieri per chi legge, ndr) tutta
intera ha voluto abbracciare per l’ultima volta due suoi figli e una famiglia
spezzata dal lutto e dal dolore.Tutti si devono fare carico del conforto ad Alessio e alla signora
Vincenza».
C’è
anche il ricordo dei parenti, come quello di Angelo Farella, secondo cui «Nicola
e Vincenzo sono morti da eroi, e gli uomini sono angeli con un’ala soltanto che
possono volare soltanto restando abbracciati. Forse anche tu Signore tieni
nascosta la tua ala e ora puoi librarti in volo con quelle di Nicola ed Enzo».
E
degli amici, che ricordano le passioni per la cucina e per il karaoke del
giovane 28enne.
Il
fratello di Nicola, invece, non riesce a parlare.
Le lacrime e la rabbia non lo
permettono.
Scrosciano gli applausi.
Come quelli che accompagnano l’uscita
delle bare in una piazza Aurelio Marena che pullula di gente.
Nicola è portato
dai fratelli e dai figli, Vincenzo dagli amici più cari.
Ma è come se tutta la
città li stesse accompagnando verso l’ultimo viaggio della loro vita.
Nessuno,
davvero nessuno, si dimenticherà di questi due martiri travolti da un destino
beffardo e ingannevole.