Nessuna manipolazione del mercato. Il fatto non
sussiste. E quanto accadde non costituisce reato.
È questa la conclusione a cui sono giunti i giudici
del Tribunale di Trani nel processo che vede gli analisti delle agenzie di
rating Standard & Poor’s e Fitch accusati di aver manipolato i mercati
finanziari, tra maggio 2011 e gennaio 2012, diffondendo quattro report e
declassando il rating, mentre l’impennata dello spread provocò la fine del governo
Berlusconi e mentre l’Italia era nel mirino dei mercati. I giudici non hanno creduto
alla tesi del complotto sostenuta dal pubblico ministero bitontino Michele
Ruggiero, che aveva ipotizzato che quei report sulla tenuta del sistema
economico, finanziario e bancario contenessero false informazioni finalizzate a
disincentivare l’acquisto di titoli di Stato e, quindi, deprezzarne il valore. Insussistente
è stata giudicata anche la responsabilità amministrativa per la persona
giuridica, vale a dire l’agenzia S&P.
Tutti assolti, quindi, i sei analisti ed ex manager coinvolti
nel procedimento penale che fu voluto dalla Procura di Trani e fu accompagnato
da anni e anni di polemiche verso le suddette agenzie.
L’illustre concittadino, annunciando che valuterà il
ricorso, esprime amarezza e accusa solitudine con un lungo post rilasciato sui
social network: «È davvero incredibile
quanto talvolta ci si possa sentire soli nel fare il proprio dovere! Ad un
Pubblico Ministero – il magistrato promotore di giustizia nel sistema penale
italiano – capita spesso di avvertire questa sensazione di solitudine nel corso
di processi particolarmente delicati: delicati come le verità che in quei
processi si tenta di fare emergere, dapprima durante le indagini, poi nel corso
del pubblico dibattimento. Verità che spesso restano sullo sfondo, perché lì è
bene che restino. Verità che finiscono esse stesse sotto processo rischiando la
più grave tra le condanne, quella all’oblio. Un processo decisamente
“delicato” è quello celebrato a Trani e concluso ieri in primo grado.
Un processo ormai a tutti noto, a carico di agenzie di rating accusate di avere
decretato e divulgato una serie di declassamenti e giudizi negativi nei
confronti della ‘nostra’ Repubblica Italiana nel secondo semestre del 2011
‘manipolando il mercato’, così calpestando la dignità del nostro Stato sovrano:
perché – sia chiaro – subire continui declassamenti e stroncature come era
capitato all’Italia in quello scorcio del 2011, passando agli occhi della
comunità finanziaria internazionale per un Paese che avrebbe potuto non onorare
i suoi debiti, era (ed è) una questione di dignità delle sue istituzioni e,
prima ancora, del suo stesso popolo. Una questione di “dignità nazionale”,
anche se quelle stroncature fossero intervenute nel più rigoroso rispetto della
normativa europea; figurarsi se, invece, si fosse dimostrato in un processo che
quelle stroncature – sentenziate dai supremi giudici dei mercati, quali appunto
le agenzie di rating – fossero maturate in spregio ai principi di legalità e
trasparenza!
Ho condotto personalmente
le indagini preliminari ed ho cercato di capire il come ed il perché di quella
singolare sequenza di sonore bocciature: ad un magistrato, in fondo, non si
chiede solo di sapere ma anche e, direi soprattutto, di capire. Ho, dunque,
iniziato ad investigare su quei ripetuti declassamenti decretati nei confronti
dell’Italia e dell’Europa, misurandomi con la difficoltà di accertare fatti
transnazionali complessi e maturati al di là dei confini del nostro Paese;
all’esito delle indagini sono riuscito ad ottenere il rinvio a giudizio degli
imputati. Iniziato, quindi, il processo dinanzi al Tribunale, ho seguito ogni
singola udienza dibattimentale avvertendo, ogni volta, una profonda ed amara
sensazione di solitudine.
Sì, ho detto solitudine: un
sentimento che mi assaliva non solo durante le udienze – mentre mi scontravo
contro un autentico esercito di esperti avvocati e blasonati consulenti
ingaggiando una serrata battaglia tra mille eccezioni, repliche, opposizioni e
discussioni – ma anche al termine di esse; ed era proprio alla fine di quelle
maratone dibattimentali che quel sentimento si faceva più forte: forse perché
lo Stato, tecnicamente parte lesa da quei reati e perciò legittimato a
costituirsi parte civile per azionare una pretesa risarcitoria nei confronti
degli imputati, non era sceso in campo a lottare a fianco del Pubblico
Ministero?
Devo, comunque, ammettere
che tutte le volte in cui quell’amara sensazione mi pervadeva, un pensiero in
fondo assai semplice giungeva in mio soccorso facendomi compagnia: quello che,
nonostante la sproporzione tra le forze in campo all’interno dell’aula
d’udienza e nonostante quell’inspiegabile assenza processuale dello Stato, lì
fuori c’era tutto un popolo silenzioso che sentivo straordinariamente vicino;
uomini e donne che lottavano nel lavoro di ogni giorno, faticando e rischiando,
soli anche loro, forse molto più di me. Era per quella gente semplice e
silenziosa, il Popolo Sovrano, che dovevo farmi coraggio, resistere ed andare
avanti in quell’ardua battaglia giudiziaria. Se è vero – come qualcuno ha detto
– che è impossibile vincere contro chi non si arrende mai, è altrettanto vero che
in questo processo sapevo per certo che non avrei perso mai, come non avrebbe
perso mai il mio Paese silenzioso, perché non ci saremmo arresi mai».
Ma non rinuncia affatto alla speranza: «A tutti i miei fratelli d’Italia, piccoli e
grandi, dedico questo enorme sforzo, con l’amarezza di non avere raggiunto –
per ora – l’obiettivo, ma con la serenità che mi deriva dall’intima
consapevolezza di aver fatto il mio dovere, tutto e fino in fondo. Quando ci si
impegna tenacemente per realizzare quello in cui si crede, si intraprende un
cammino ed il risultato finale non conta più, diviene solo un trascurabile
dettaglio. Tutta la vita è un cammino: dovremmo affrontarla con determinazione,
entusiasmo e fiducia, animati dallo stesso spirito di chi partecipa ad una
staffetta e, dopo aver percorso il proprio tratto, passa nelle mani di un altro
il testimone e con esso la Speranza. Siamo anelli di una catena, siamo parte di
un Tutto».