Pubblichiamo di seguito la lettera che il Prof. Pietro Perrino, già Direttore dell’Istituto del Germoplasma del CNR di Bari, ha inviato al Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola.
“Caro Presidente Vendola,
siamo persone diverse, ma tutte amanti della natura. Si sta discutendo con vivacità, ma in modo parziale del disseccamento rapido degli ulivi. Una patologia che secondo alcuni burocrati e ricercatori potrebbe sterminare gli uliveti del Salento e quelli di altre regioni e nazioni. Queste ultime premono sulla CE affinché si proceda alla eliminazione delle piante malate. Mentre riusciamo a capire la loro miopia, facciamo fatica a comprendere quella dei burocrati e studiosi pugliesi. Infatti, ad oggi nessuno conosce le cause del fenomeno. Per i batteriologi il patogeno responsabile è la Xylella fastidiosa. Per i micologi gli agenti potrebbero essere diverse specie di funghi. C’è, inoltre, chi sostiene che siano coinvolte più specie di Xylella o specie nuove.
Di contro, diversi ulivicoltori del Salento hanno mostrato come, con alcuni accorgimenti siano riusciti, in poco tempo, a risanare piante di ulivo che sembravano spacciate dalla malattia. Gli stessi hanno evidenziato che nelle aree focolaio ci siano uliveti indenni e quindi che la virulenza di eventuali patogeni è relativa alla vulnerabilità delle piante e dell’ecosistema.
Lo scenario suggerisce alcune riflessioni. Il disseccamento c’è ed è innegabile, ma è difficile pensare che possa essere risolto con l’abbattimento degli alberi affetti e ancora peggio che possa essere utile lo sradicamento di piante sane per creare un cordone intorno alle aree focolaio. Entrambi i provvedimenti sono sbagliati. Nel primo caso perché le piante malate possono essere risanate e nel secondo perché si distruggerebbero piante sane, che, molto probabilmente, comprendono anche cloni naturalmente resistenti o tolleranti alle avversità che provocano il disseccamento.
L’approccio più razionale sembra quello agroecologico. Gli studi osservazionali suggeriscono che le cause risiedono in un tipo di agricoltura che per decenni è stata caratterizzata da un uso eccessivo di concimi chimici, pesticidi, antiparassitari e di erbicidi, aventi come obiettivo quello di aumentare le produzioni. Un’agricoltura ad alto impatto ambientale che ha reso i terreni sterili e le piante più vulnerabili alle avversità. È stato dimostrato che tutte queste sostanze chimiche rendono non disponibili per le piante i microelementi presenti nel suolo. Di conseguenza, le piante diventano più vulnerabili. Non a caso nelle aree focolaio ci sono uliveti sani. Evidentemente essi sono il risultato di un’agrotecnica più rispettosa dell’ambiente.
Alla luce di queste considerazioni è di solare evidenza che la soluzione del problema non sta nello sradicamento degli ulivi né nell’accanirsi contro eventuali patogeni, ma nel ripristino di un’agricoltura a basso impatto ambientale, suggerito dai salentini più avveduti e che hanno tutto il diritto di essere ascoltati, anche perché sono loro che vivono in empatia con le piante di ulivo. Senza nulla togliere a burocrati e accademici, i legami che loro hanno con il territorio e gli ulivi sono meno forti e quindi meno indicati a suggerire la giusta terapia.
In un ecosistema sano, anche i patogeni svolgono un ruolo. Pensare di eradicarli, invece di controllarli è un grosso errore che comporta il rischio di sviluppare nuovi patogeni più virulenti.
Ci permettiamo di suggerire che la cosa più saggia da fare è sì di finanziare la ricerca per aumentare le conoscenze sul disseccamento, ma ciò non deve essere legato all’abbattimento degli ulivi, bensì alla loro salvaguardia. Una ricerca che guarda all’intero ecosistema e che coinvolga gli attori principali: gli agricoltori”.