12/03/2021. Arriva una notifica dal gruppo della classe del liceo. Era silente da tempo e penso al solito saluto o tentativo di incontrarci. Invece la notizia è nera. Pare sia venuta a mancare la professoressa Lobascio. Dopo poco arriva la conferma. Quel nome sul manifesto è come un timbro fatale. Inizia a scolorirsi un mondo che aveva contorni netti, popolato di personalità importanti. Prima la Gesualdo, ora la Lobascio. Pare che il ramo scientifico sia il più subitaneo al trapasso. Quel lato scientifico a cui tanto devo per la mia formazione.
La professoressa Lobascio è stata la mia insegnante di scienze. Una donna compita, con un’immagine ben delineata: basta chiudere gli occhi per ricordarne i capelli mogano corti e gonfi, il viso con due piccoli occhi impertinenti, le rughe d’espressione persino. I suoi tailleur con la gonna, prevalentemente di colore blu, qualche volta con parti gialle. Il modo di oscillare il piede sotto la cattedra, la posizione di attesa con il piede in avanti e il fianco sbilanciato, il giocherellare con l’orologio sulla cattedra. E poi le spiegazioni, i toni cantilenanti di alcune definizioni che nella testa sono rimaste come preghiere (ancora oggi le ripeto ai miei studenti allo stesso modo perché funziona). Frasi nette e qualche volta battute pungenti. Ho anche sofferto con lei e, nonostante tutto, ho scelto la sua materia. Sono diventata forte grazie alle salite, non certo alle discese.
La professoressa Lobascio è stata una donna incisiva, graffiante a tratti, preparata e sempre solida. Mi ha lasciato quella solidità e concretezza per cui la ringrazio profondamente.
Non so se c’è un mondo dopo la morte, ma, da buona donna di scienza, la professoressa potrà verificarlo. Se non ci dovesse essere, rimarrà qui la sua opera attraverso la sua amata famiglia, ma soprattutto attraverso quanti di noi abbiano imparato da lei. Se ci dovesse essere, le auguro di conservare la stessa energia di sempre.
Con affetto e gratitudine.
Maria Antonietta