L’8 agosto 1991 una nave mercantile albanese, la Vlora, finì la traversata del Mar Adriatico a Bari, portando con sé un carico molto speciale. Almeno per l’epoca, in cui non eravamo ancora abituati a vedere navi piene di disperati approdare sulle nostre coste. La nave, infatti, partita da Durazzo, trasportava migranti albanesi (si stima che fossero circa 20mila) in fuga dal tracollo che, in quel momento, stava vivendo il Paese delle Aquile. Una crisi che si inseriva nel delicato momento che l’intera penisola balcanica stava vivendo nei primi anni ’90, dopo la dissoluzione del blocco sovietico.
Tra i testimoni di quell’evento ci fu il fotoreporter barese Luca Turi, che mercoledì, sul traghetto che collega il porto di Bari a quello di Durazzo, ha presentato il suo volume “Le memorie del vento”, un racconto fotografico sulla storia albanese, dagli anni ’70 ad oggi, la storia di un Paese oggi vive una profonda rinascita culturale, sociale, turistica ed economica, ma che, in quegli anni, era nel pieno di una crisi sociale, economica e politica, come ha ricordato Giuseppe De Tomaso, direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, che ha introdotto la presentazione del libro, curato della giornalista Carmela Formicola ed edito da Florestano Edizioni.
«La città dimostrò in quell’occasione una grande sensibilità» ricorda il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, ricordando anche la figura di Enrico Dalfino, sindaco di Bari a quei tempi, che non si tirò indietro di fronte all’emergenza umanitaria che vide oltre 20.000 albanesi affamati e disidratati, arrivati in cerca di una nuova vita.
«Sarebbe stato facile definire quegli sbarchi come un’invasione, ma la città si chiese come potesse aiutare quelle persone, come potesse farli sentire come se stessero a casa loro. Mentre oggi assistiamo spesso al marketing politico di chi fa leva sulla paura verso i migranti» continua l’ex sindaco di Bari.
Lo conferma anche il suo successore, attuale primo cittadino del capoluogo, Antonio Decaro, ricordando quel giorno e la curiosità che destò quella nave: «Ricordo quella nave carica di puntini che, solo man mano che si avvicinavano, si capiva fossero persone. I più giovani si buttarono in mare con la barca ancora in movimento, per raggiungere a nuoto quella che per loro era la terra promessa. Avevano infatti un’immagine distorta dell’Italia, dettata dalle televisioni commerciali che anche oltre Adriatico trasmettevano».
«Lo Stato affrontò la questione non come un’emergenza, ma come un’operazione di polizia, pensando soprattutto a come rimpatriarli. Fu la sensibilità dei baresi e del sindaco Dalfino che permise di accogliere e integrare quelle persone, tra cui molti che ci hanno poi dato l’onore di rimanere in Italia e crescere insieme a noi» continua Decaro ricordando uno di loro, che, arrivato a 13 anni sulla Vlora, è cresciuto a Bari e, a fine marzo, ha avuto dal primo cittadino le chiavi della città. Si tratta di Ermal Meta, il giovane cantante vincitore insieme a Fabrizio Moro dell’ultimo Festival di Sanremo. E ricordando Dalfino aggiunge: «I sindaci non devono essere imprenditori della paura, ma artigiani di civiltà».
Per il suo comportamento e per il suo disappunto sul recludere tutti quei disperati nello Stadio della Vittoria a Bari, Dalfino fu definito dall’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga un “bel cretino”.
«Volevamo raccontare cosa è cambiato in Albania negli anni. Volevamo fare un lavoro di cronaca che documentasse l’Albania di ieri e quella di oggi» spiega Carmela Formicola, mentre Luca Turi ricorda le sensazioni vissute l’8 agosto ’91: «Non sapevamo cose ci fosse sulla nave. Lo scoprimmo mentre si avvicinava. In quell’occasione bisogna rendere il giusto merito alle forze dell’ordine e al comandante della nave, sotto minaccia, che con le sue manovre fece approdare quella nave riempita eccessivamente ed evitò una strage».
«Sapete quanti, tra i passeggeri della Vlora, si sono affermati oggi? Tantissimi, che oggi sono medici, professori e tanto altro» conclude il fotoreporter che ha presentato il volume anche a Durazzo.