Ha
fatto discutere, nei giorni scorsi, quanto successo a Valenzano, nel
barese.
Il 16
agosto, il dì della festa di san Rocco, nella cittadina del
sindaco Antonio Lomoro non poteva passare inosservata una mongolfiera
commissionata da una famiglia molto vicina alla criminalità
organizzata locale, i Buscemi.
L’episodio,
condannato, tra gli altri, dal presidente della Regione Michele
Emiliano e da quello della Commissione antimafia Rosy Bindi, ha
riportato a galla i vecchi legami tra le famiglie mafiose siciliane e
il tacco d’Italia, hinterland barese incluso.
Se da
un lato c’è la famiglia Buscemi, arrivata in Puglia in soggiorno
obbligato e imparentatasi negli anni con i “Stramaglia” di
Valenzano, altrettanto conosciuto è il rapporto di Salvatore Riina,
il Capo dei capi di Cosa Nostra,
con Bari e Bitonto.
Tutto
inizia nel 1969, quando Riina, Liggio e altri affiliati mafiosi sono
sottoposti, dinanzi alla Corte d’Assise del capoluogo, a un processo
con l’accusa di omicidi plurimi, macellazione clandestina e
associazione mafiosa.
I
giudici, però – minacciati qualche giorno prima della sentenza da una lettera fatta recapitare proprio dal boss corleonese –
assolvono gli imputati per insufficienza di prove.
Riina
e Liggio, restano in Puglia e si spostano di qualche chilometro, a
Bitonto, dove, almeno inizialmente, alloggiano all'(ei fu) Hotel
Nuovo. Nella città dell’olio, Totò u Curtu vorrebbe
anche rimanerci, e chiede
addirittura la residenza, sostenendo di aver trovato, nel frattempo,
un lavoro come commesso dal suo legale di fiducia.
Non
è tutto, perché sempre in quei giorni, Riina era intenzionato anche
ad acquistare un terreno agricolo, non lontano dalla Poligonale.
Il
17 giugno 1969, però, i due boss ricevono due fogli
di via obbligatori, emessi dal questore di Bari Girolamo Lacquaniti.
I due mafiosi, considerati “socialmente pericolosi”,
ricevono il divieto di soggiornare a Bitonto e in Puglia per 3 anni.
Il
Capo dei Capi, allora, torna a Corleone, sua città natale, dove è
nuovamente arrestato con l’obbligo di soggiorno obbligato in un
paesino in provincia di Bologna. Che sconta soltanto in piccolissima
parte, perché dopo aver ottenuto un permesso di tre giorni per
sistemare gli interessi della madre vedova e delle sorelle nubili a
suo carico, inizia la sua lunghissima latitanza, durata ben 23 anni.
Fino al 15 gennaio 1993, il dì del suo arresto da parte dei
carabinieri del Ros. In mezzo, una seconda guerra di Mafia provocata
e uccisione di “cadaveri eccellenti” quali Pio La Torre, Carlo
Alberto Dalla Chiesa, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino.
Soltanto
per citarne qualcuno.