Hanno voglia a dirci che si tratta solo di una cessione di attività e che, quindi, nulla è perduto.
Mica ci rassicurano queste voci postume.
Quella saracinesca grigia come un cielo d’autunno serrata, con quel biglietto di poche, eloquenti parole (leggi “cessata attività” e speri ancora che sia solo un lapsus calami per “cassata“, meraviglia d’origini sicule. E invece no…) ci mette fonda tristezza.
Forse, d’ora in poi, il gelato non sarà più lo stesso.
Dopo cinquanta anni di onorata (per davvero) carriera e di tanti palati titillati da prelibatezze sottozero, ma pure di inebrianti caffè, per anni in vetta alle classifiche cittadine, e dolcezze varie, il Bar Popolare ha chiuso i battenti.
Carmine Calò (Carmnucc per tutti i bitontini) calò la serranda.
Luogo comune d’appuntamenti spesso decisivi, pure di lavoro, ma anche solo prima di una partita di calcetto, oggi non è più.
Ed è il simbolo inequivocabile di un tempo perduto.
Chi ha lavorato gomito a gomito con lo storico proprietario non può che dirne bene: “Con Carmine non c’è stato mai un rapporto tra datore di lavoro e dipendente. Con la sua umiltà, la sua gentilezza e la sua eleganza non si è mai sentito superiore a noi dipendenti“.
E i toni hanno quasi un accento filiale: “Ho imparato tante cose lì, per me è stata un’esperienza di vita che mi ha arricchito tanto. Carmine mi ha sempre detto: “quando ho iniziato qui, a poco piu di vent’anni, avevo solo cambiali e non sapevo nemmeno fare il caffè. Ci diceva sempre questo per farci capire che nella vita, con la passione e con tanto amore, si può sempre migliorare“.
Quando il lavoro è vita. Ascoltiamo ancora: “L’altro giorno, quando abbiamo messo il cartello chiuso per cessata attività, è stato un dolore immenso per tutti. Ho visto Carmine quasi piangere“.
Pare che quel punto di riferimento rinascerà più forte che pria: “Spero solo che i nuovi proprietari riescano a mantenere nel bar l’anima di Carmine e a fare in modo che questa nuova esperienza sia solo un altro capitolo di un libro meraviglioso che è la storia del Bar Popolare“.
L’auspicio, ovviamente, è condivisibile e speranzoso.
Intanto, vogliamo solo ricordare che, almeno a Bitonto, all’espressione “a r cas popolar” non è mai stata accordata un’accezione fortemente negativa. Anzi.
Fra quelle case nate per le tasche più bisognose a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, quell’aggettivo (popolare) ha avuto sempre un valore forte, di primigenia democraticità, di autentica condivisione. Chissà che non fossero i tempi ad esigere tutto questo.
Quell’abbraccio di cemento ha donato più calore che asfissia e ne è conferma la statua della Vergine nel cuore del grande spiazzo, custodita dall’amore dei residenti e da un’aiuola variopinta e addobbata come si conviene nel mese di maggio.
Dunque, che torni su quella torva saracinesca.
Ma, forse, il gelato non avrà più lo stesso sapore di nostalgia…