«L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro».
Recita così la prima frase del primo articolo della Costituzione italiana, frutto di un lungo dibattito e un importante compromesso, all’interno dell’Assemblea Costituzionale, tra le forze politiche. I comunisti del Pci, infatti, avevano proposto la dicitura, più legata alla loro cultura, «fondata sui lavoratori».
In uno Stato che apre la propria carta costituzionale con l’invocazione del lavoro come primo principio, non desta certo stupore che le più importanti organizzazioni collaterali ai partiti politici fossero, quindi, i sindacati, le associazioni dei lavoratori riconosciute dall’articolo 39 della Costituzione.
Le prime associazioni nacquero a cavallo tra ‘800 e ‘900. La Cgdl fu una grande organizzazione di classe, di ispirazione socialista, con un orientamento maggioritario riformista, nonostante le spinte rivoluzionarie che si fecero più intense a seguito della nascita della nascita del Partito Comunista, nel 1921 a Livorno, dopo la scissione dai socialisti.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, con l’avvento del fascismo, furono abolite tutte le associazioni sostituite da corporazioni riunite nella Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali, che, nel ’25, con Confindustria, stipulò il patto di Palazzo Vidoni, che diede inizio al monopolio del sindacalismo fascista e che fu seguito, nel ’27, dallo scioglimento della Cgdl (che continuò in clandestinità) e delle altre organizzazioni. Dopo il secondo conflitto mondiale e la nascita della Repubblica Italiana, venne ripristinata la libertà sindacale, sancita dal già citato articolo 39.
Nel ‘44, con la firma del Patto di Roma, siglato dai comunisti, rappresentati da Giuseppe Di Vittorio, dai democristiani guidati da Achille Grandi e dai socialisti, con Emilio Canevari in sostituzione di , ucciso dai tedeschi a Roma, nacque così la Cgil (Confederazione Generale Italiana del Lavoro), da un compromesso tra le tre principali forze politiche italiane, connotata da una filiazione diretta dei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale. Fu in questo periodo che, nel pieno delle lotte contadine che, nel secondo dopoguerra, caratterizzarono la storia pugliese e dell’Italia meridionale, i sindacalisti della neonata Cgil fecero proprie le rivendicazioni dei braccianti che chiedevano il rispetto dei contratti stipulati e il riconoscimento del limite di otto ore al giorno. Anche a Bitonto, dove, nel ’47, si tennero diverse manifestazioni, anche violente, che sfociarono nei tumulti di novembre. I braccianti agricoli erano sostenuti da Pci, Psi e dalla Cgil, che aveva dichiarato lo sciopero ad oltranza in tutta la Provincia di Bari, e chiedevano lavoro e condizioni di vita più dignitose.
L’unità delle forze politiche nella Cgil finì nel ’48, quando il gruppo d’ispirazione cristiana, insieme alle Acli (Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiane) e ad altri gruppi legati alla Democrazia Cristiana, si resero indipendenti dalla Cgil e fondarono la Libera Cgil, che, in seguito, diverrà la Cisl. Sul fronte socialdemocratico, invece, da un’altra scissione nacque la Uil. Le rappresentanze sindacali erano fortemente politicizzate, poiché ciascuna di esse aveva un suo partito di pressoché diretto riferimento. A destra, in posizione minoritaria, nel ’50 nacque invece l’Ugl (Unione Generale del Lavoro), vicino al Movimento Sociale Italiano. Le nomine al vertice avvenivano su precisa indicazione dei partiti, in un modello di dipendenza del sindacato dal partito che resterà fino ai primi anni ’90.
Spesso i tre principali sindacati operarono in sintonia tra loro e gestirono quella fase, sul finire degli anni ’60, caratterizzata da progressivo deterioramento dei rapporti fra lavoratori e datori di lavoro, che sfociò nelle lotte sindacali degli anni ’60 e ’70, in cui non mancarono episodi di grave violenza e in cui si arrivò, nel 1970, allo Statuto dei Lavoratori (legge 300 del 20 maggio 1970), che introdusse importanti modifiche dal punto di vista delle condizioni di lavoro e dei rapporti fra i datori e i lavoratori, sancendo disposizioni a tutela di questi ultimi. Ancora oggi, lo Statuto dei Lavoratori costituisce la base del diritto del lavoro in Italia, nonostante, ormai, le premesse del mondo sindacale siano cambiate e non ci sia più quella stretta correlazione con i partiti politici.