Vincenzo Rizzi, Michele Vitariello,
Michele De Pinto, Francesco Berardi.
I loro nomi, i loro volti, le loro storie
non sono quelle di ragazzi comuni, anche se loro certamente si sentivano tali.
Ma non lo potranno (più) essere perché
sono stati strappati troppo presto alla vita. Quella vita che il destino,
triste e beffardo come non mai, ha impedito loro di vivere fino in fondo.
Vincenzo, Michele, Michele e Francesco
sono i 4 giovanissimi angeli bitontini che in un sillabario 2014 associeremmo
senz’altro alla lettera T di tragedia. Già, perché morire a soli 28 anni
(Vincenzo) e 29 (Michele Vitariello) mentre si è sul posto di lavoro è soltanto
tragedia. Perché morire a 23 anni (Michele De Pinto) per un sarcoma addominale non
la puoi non chiamare tragedia. Perché morire a 21 anni (Francesco Berardi) in
un incidente stradale mentre si torna da una serata in discoteca è vera e pura
tragedia.
Lavoro, malattia e fatalità. Tre modi
diversi di salutare anzitempo un’esistenza che tristemente ci ricorda che siamo
esseri fragili, indifesi, nudi e spogli contro quella fortuna latina che,
guarda caso, significava sorte, caso. Che più di uno pensa sia quella cosa più
equa e imparziale che ci sia.
Ma assolutamente no, e per favore non
diciamolo alle famiglie dei nostri angeli.
Il primo a cadere, l’8 aprile, è stato
Vincenzo, il “testimone di vita” come lo ha definito don Ciccio Savino nella
messa funebre. Morto da eroe in una cisterna interrata in una azienda della
zona industriale di Molfetta. Insieme al padre Nicola era titolare di una ditta
di autospurghi. E quel giorno maledetto e nefasto era proprio con il padre e
con il fratello Alessio, strappato quasi certamente alla morte dall’intervento
provvidenziale di Vincenzo. Che ha lasciato una giovane moglie e una pargoletta
che quando crescerà capirà che uomo vero era il papà.
E il lavoro è stato fatale anche a
Michele Vitariello, spirato il 5 luglio mentre era intento a lavorare sul
terrazzo di una palazzina di via Schino a Santo Spirito.
Stava tinteggiando un muro sul terrazzo
dell’abitazione stessa, quando sarebbe salito su un lucernario che però ha
ceduto, facendolo precipitare nella tromba delle scale, da un’altezza di
circa 15 metri. Una caduta che non gli ha lasciato scampo.
Chi gli voleva bene lo ricorda come un ragazzo
pieno di vita, con tanta voglia di fare, di scherzare e sempre pronto a dare sé
stesso agli altri.
E pronto a pensare prima agli altri era
anche Michele De Pinto, vinto alla vigilia di ferragosto da una malattia
incurabile che aveva cercato di combattere per tre lunghi anni. E che alla fine
sembrava anche aver battuto. Profondamente attaccato alla vita, era proprio lui
a dare una pacca sulla spalla a chi lo vedeva stanco e provato, ed era sempre
lui che rassicurava i genitori nei momenti in cui tutto sembrava essere
perduto. E noi, con tutti quelli che lo conoscono, lo vogliamo timbrare così
nella nostra memoria.
Come merita.
E un posto nel cuore di tutti è riservato
di diritto anche a Francesco Berardi, l’ultimo giovane figlio della nostra
città a essere stato ingannato dalla natura.
Erano le prime ore del 16 agosto, e con
altri quattro amici stava tornando a casa dopo aver passato il Ferragosto in
discoteca. Poi ecco arrivare l’imprevedibile, l’oscuro, un incidente ancora
avvolto nel buio. Che ci ha tolto un
ragazzo con la testa sulle spalle, studente alla facoltà di Lingue e
letterature straniere all’Università di Bari con Erasmus in Estonia. Ma che,
come recita l’ultimo post di un’amica sulla sua pagina Facebook, sarà
sempre l’«angelo
più bello, la stella più bella».
E che risplende ancora di più con queste
nuvole plumbee e con l’arcobaleno di un normalissimo sabato di fine agosto.
Vincenzo, Michele, Michele, Francesco.
Quattro giovani che gli dei hanno voluto accanto a loro perché cari. Almeno
così tramanda la leggenda.
Noi però preferiamo ricordarli come i
soldati di Ungaretti: troppo fragili come le foglie che cadono in autunno.
Già, l’autunno.
Troppo simile alla fragilità della vita.
Troppo prossimo a questo cupo 2014
bitontino, che già ci ha fatto versare tante, giovani lacrime.