Alla fine, lo ha tradito la cosa più bella che aveva: il cuore.
Capita, soprattutto a chi lo offre agli altri così, senza pensarci o pensandoci profondamente.
Per amore e per amore dell’Arte.
Si è spento, ieri, Franco Sannicandro, genio vero e pure artigiano, e non importa quanti anni avesse perché chi lo ha conosciuto e apprezzato non lo dimenticherà mai.
Pittore, scultore, già stato dipendente comunale e persino consigliere di sinistra nella massima assise cittadina, Franco, la cui fama già lo precedeva ampiamente, mi si appalesò in tutta la sua umile grandezza un mattino di mille anni fa.
Nei locali del monastero dei Cappuccini, aveva messo su un laboratorio per insegnare a lavorare l’argilla. Mi accolse con un sorriso di primavera e le mani tutte impiastricciate come quelle dei bambini e mi sembrò un piccolo dio creatore che provava a dare un futuro a ragazzi in difficoltà.
Quando, poi, si fermava a fissare un misterioso punto lontano all’orizzonte e, con parole pacate, ti sussurrava un nuovo progetto, uno spericolato sogno, un lavoro imminente, i suoi occhi avevano il colore del cielo. Perché un artista ha dentro qualcosa di grande che noi non capiremo mai.
Così, Sannicandro – coppola marrone e fiero baffo impolverato di sigaro – è volato via in un meriggio grigio come una lapide. Solo i fiocchi di neve che danzano nel vuoto ci ricordano l’acrobatica grandezza del suo cuore. Che ha donato al mondo – ai suoi estimatori, ai suoi amici (che, sono sicuro, ora staranno imprecando perché non lo dovevi fare, Frà), ai suoi ragazzi – opere di mille fogge che erano idee che si facevano Sublime.
Ovunque vedrete una creazione che vi rapirà lo sguardo con una maliosa curiosità – lo struggente “Volo dell’anima” sulla facciata dell’Hospice, per esempio -, lì ci sarà Franco.
Dai disegni ispirati all’opera del maestro Francesco Speranza alle più ardite installazioni, passando per concetti che dicevano una ben definita visione del mondo: fare arte sempre, a costo di farsi male e consumarsi.
Come già qualcuno ha proposto, che la città ricordi con tempestiva devozione il Nostro, magari nobilitando gli angoli malinconici con le opere del Simposio internazionale che lui s’inventò.
Grazie, ancora grazie davvero per tutto quello che ci hai regalato, caro Franco.
E che la terra ti sia lieve e il cuore pieno zeppo di sogni e stelle.