Solo qualche giorno fa, ho capito perché il mito ed il suo cieco aedo lungiveggente non diedero fratelli all’eroe “polytropos” Ulisse.
Perché tutti gli uomini a venire potessero sentirsi legati al geniale Odisseo da un vincolo, se non di sangue, fatto di quel segreto e struggente amore per la virtù e per la conoscenza (urge inchino al Sommo Alighieri).
Come se gli fossimo tutti un po’ sodali per passione e avventura.
Insomma, l’ho compreso quando è giunta la notizia dell’approdo ad Itaca del fotoreporter bitontino Lorenzo Scaraggi.
Partito dal nostro borgo natio, ha voluto misurare a passi (non penso proprio tardi e lenti) lo spazio che ci separa da quel luogo dell’anima che è l’isola sunnominata.
Par di vederlo, Lorenzo, col suo zaino pieno zeppo di sogni e idee e la sua reflex al collo, pronto a scattare istantanee colte dai suoi mobili occhi ladri di luce.
Anzi, di tutto.
Cieli, nuvole, sole, stelle, luna, alberi, onde: tutto sarà diluviato dentro il suo cuore durante questo cammino solitario e affollato.
Infine, l’approdo in quella terra antica.
Lo smarrimento che, d’improvviso, ti afferra l’anima, se appena svaporano le inquietudini dell’andare.
E allora senti che l’essenza del destino d’un ulisside è davvero il viaggio, come scriveva Kavafis.
Lorenzo si sarà fumato una sigaretta arrotolata piano, avrà guardato lontano un punto a lui solo visibile, avrà raccolto tutti i frammenti della nostalgia, riponendoli studiatamente nella sacca, ed avrà ripreso a camminare, nel senso opposto.
“E subito riprende/il viaggio/come/dopo il naufragio/un superstite/lupo di mare“, viene in provvidenziale soccorso Giuseppe Ungaretti.
Ma può un folle ed impavido epigono del famoso re di quell’isola sopravvivere al trito scialo dei butuntini giorni?
E, soprattutto, lo sa che basta uno specchio per trovare il desiato porto, sepolto dentro ognuno di noi?