L’Italia olivicola-olearia è virtualmente giù dal podio mondiale nella produzione per la prima volta nella storia dopo anni in cui è stata proprio l’olivicoltura il vanto della nostra agricoltura.
Infatti, ormai più che doppiati dalla Spagna e superati della Grecia, l’Italia sarebbe anche alle spalle della Siria, se quel Paese non fosse attraversato da una guerra devastante, che blocca i movimenti del comparto.
Quindi, l’unica leadership che rimane per l’extravergine d’oliva italiano è quella della qualità del prodotto, ma non può bastare.
Si tratta di una cosa mai successa: per decenni il settore olivicolo-oleario del Bel Paese è stato indiscusso leader di mercato e punto di riferimento per l’intero settore a livello planetario.
Questo tracollo produttivo italiano, quantificabile in una contrazione del 31 per cento negli ultimi sei anni, preoccupa non poco il CNO – Consorzio Nazionale degli Olivicoltori che per questo ha chiamato a raccolta il gotha del comparto in un’assemblea a Firenze.
Un’iniziativa nata per raccogliere una strategia condivisa e rimontare la china, tornando a vincere le sfide mondiali.
“Infatti – ha spiegato il Presidente del Cno, Gennaro Sicolo – in base ai dati provvisori della corrente campagna di commercializzazione dell’olio di oliva, iniziata nel mese di ottobre 2016 e che terminerà in settembre 2017, la Grecia ha prodotto 195.000 tonnellate, contro 183.000 dell’Italia”.
“I dati sono quelli ufficiali pubblicati dalla Commissione europea e si basano sulle dichiarazioni periodiche trasmesse da ogni singolo Stato membro. A questi numeri andrebbero aggiunti i dati della Siria che non sono disponibili ma supererebbero di molto le 200 mila tonnellate – ha sottolineato Gennaro Sicolo -. Infatti, il Paese medio orientale ha massicciamente investito nell’olivicoltura professionale, a partire dalla fine degli anni novanta del secolo scorso e poco prima che scoppiasse il conflitto. Ma ci sono altri competitori agguerriti che “minacciano” i primati del “made in Italy”. Per esempio, nelle ultime sei annate, la Tunisia che investe molto nello sviluppo della filiera olivicola, per ben tre volte ha prodotto più olio di oliva rispetto al volume ottenuto dall’Italia nella corrente campagna 2016-2017”.
“C’è un altro dato attestante il declino della filiera olivicola nazionale: il trend di lungo periodo della produzione è in forte calo, mentre i più agguerriti concorrenti europei e mondiali registrano tassi di crescita produttiva eccezionali. Non a caso – ha puntualizzato il Presidente Sicolo – proprio lì dove è in atto una mirata politica di investimenti e prevale un orientamento favorevole verso la tecnologia, l’innovazione e l’impresa”.
Da noi in Italia, invece, il potenziale produttivo olivicolo indietreggia. Alla base dei cattivi risultati della olivicoltura nazionale degli ultimi anni ci sono tre principali ragioni: il processo di abbandono della coltivazione, la frammentazione della struttura produttiva ed il mancato ammodernamento del settore.
“Anche la politica ha le sue colpe – ha rilevato Dino Scanavino, Presidente nazionale della Cia – Agricoltori Italiani – perché si è ostinata a non voler riconoscere ed affrontare i problemi, con interventi incisivi, tempestivi e coerenti con le esigenze del settore. Si può rimediare al declino e riportare il sistema dell’olio di oliva italiano nella posizione che ha sempre ricoperto nel contesto europeo e mondiale”.
“È necessario attuare il prima possibile un piano nazionale, articolato a livello regionale e di distretti produttivi, per la riconversione, la ristrutturazione e l’ammodernamento della olivicoltura italiana, anche tramite un processo di razionalizzazione fondiaria – ha aggiunto il Presidente del Cno, Gennaro Sicolo -. Il settore olivicolo oleario italiano per tornare leader mondiale avrà bisogno di più di 150 milioni di nuovi olivi in produzione e almeno 25 mila nuovi addetti che riequilibrino il ricambio generazionale nei campi, ora fermo sotto il 3 per cento”.
“Per l’olivicoltura sarebbe un passo straordinario essere riconosciuta alla stregua della vitivinicoltura nazionale, che ottiene il triplo delle risorse europee per gli investimenti e la promozione del comparto, per poter programmare con più dinamicità tutti gli interventi utili allo sviluppo e al rilancio del settore”, ha concluso Sicolo.
Analisi dei dati produttivi, commercializzazione ed export
Il Consorzio nazionale degli olivicoltori (Cno) ha calcolato il tasso di variazione della produzione di olio registrato nelle ultime sei annate (tra la campagna 2010-2011 e il 2015-2016), rispetto al periodo precedente (tra il 2004-2005 ed il 2009-2010). I risultati piuttosto espliciti sono i seguenti:
· Marocco +44%
· Turchia +27%
· Spagna +16%
· Tunisia +8%
· Grecia – 22%
· Italia – 31%.
Tra i grandi Paesi produttori, consumatori ed esportatori, solo Italia e Grecia hanno registrato un ridimensionamento del settore olivicolo. In particolare, il nostro Paese ha perso quasi un terzo dell’intero potenziale produttivo.
In un contesto di forte e progressiva crescita degli scambi mondiali di olio di oliva che sono raddoppiati tra il 2000 ed oggi, lo scarso dinamismo produttivo italiano si fa sentire ed ha incrinato l’incontrastata posizione di maggiore esportatore che tradizionalmente l’Italia ha ricoperto per decenni. Tra il 1990 ed il 2015 la nostra quota di esportazione sul mercato mondiale è scesa dal 46% al 36%; mentre la Spagna partita dietro di noi oggi è leader con una quota del 53%.
L’evoluzione di lungo periodo delle performance di esportazione dei principali Paesi europei, calcolata come tasso di variazione delle ultime 6 campagne rispetto alle precedenti è la seguente:
· Portogallo +96%
· Spagna +83%
· Grecia +37%
· Italia +19%
· Ue 28 +49%.