Ieri sera, mentre rientravamo da uno di quei luoghi affollati di gente che finge di muoversi a ritmo di musica, animati – si fa per dire – da ragazzi in piena euforia enoica e fanciulle smemorate della loro bellezza e perciò inutilmente sfrenate, abbiamo imboccato il lungomare di un noto centro balneare a noi vicino.
Parlando del più e del meno, ad un certo punto, la stanchezza ha preso il sopravvebto e, mentre si affievolivano gli echi della fasulla festa, ci ha suggerito un saggio silenzio.
Il soffio della brezza marina, pian piano, si è confuso con parole che sembravano sussurri d’angelo.
Su una panca in pietra stava seduto un ragazzo, che col braccio destro indicava qualcosa in quel mare incantato che era il cielo stellato e col sinistro abbracciava la sua ragazza, su una sedia a rotelle, col capo dolcemente adagiato sulla sua spalla, che ascoltava rapita frasi che si perdevano felici nel mistero della notte.
Chissà se lo sanno, ma, in quel preciso istante, due stelle lassù, badando a che non sembrassero tremare molto sul fiore dell’acqua, commosse si stringevano e una indicava all’altra quei due ragazzi seduti e abbracciati in un angolo sperduto del mondo quaggiù…