Qualche sera fa, prima di andare a dormire, quella vecchina indomabile che è mia madre ha lanciato lo sguardo un po’ malinconico di chi non vive più di attese, ma spera sempre che qualcuno si ricordi, al telefono sulla mensola di marmo.
E ha sussurrato: “Chissà come mai oggi Franco non ha telefonato…“.
Era il tramonto del 19 Marzo, festa di San Giuseppe, onomastico di mio padre.
Quel Franco che, come ogni anno, anche in assenza del festeggiato, avrebbe dovuto far squillare il cordless era – e quanto mi costa usare l’imperfetto – il dottor Franco Nacci. Della cui scomparsa ieri è giunta la ferale notizia.
Oggi piangiamo una delle anime più nobili che abbia avuto la nostra città, diciamolo subito d’emblée, senza ambagi.
Fratello dell’artista onirico Gennaro, era stato allievo di papà al Liceo Classico “Sylos”, negli anni Quaranta, ed aveva sempre serbato una riconoscente devozione nei confronti di quel giovane docente, che gli aveva insegnato l’amore per la libertà, tramite lo studio dei classici latini e greci e dei grandi della letteratura italiana. Altri tempi, altra scuola, forse.
Insomma, zio Franco (quanti simpaticamente lo chiamavano così?) è stato un protagonista vero, concreto, eticamente ed eroicamente autentico della vita di Bitonto.
Era idea che si faceva realtà, senza passare attraverso il comodo usbergo della illudente annuncite.
Due “creazioni” su tutte gli dobbiamo: il centro dialisi dell’ormai ex ospedale di Bitonto – di cui fu primario e direttore sanitario – e il Palazzetto dello Sport.
Due monumenti donati anche alla posterità, che spesso non ne ha compreso la preziosità.
Il primo, infatti, è rimasto un fiore all’occhiello, nonostante le tempeste regionali, grazie all’impegno encomiabile di pochi illuminati (a me viene in mente, per esempio, Michele Muschitiello).
Il secondo, oggi, è un rudere destinato al crollo, al netto di promesse di rito e situazioni intricate da risolvere.
Per questo, quando l’estate scorsa si festeggiavano i quaranta anni della Volley Ball- storica società sportiva che vide proprio il solare medico fra i fondatori e sostenitori- sembrava un po’ anacronistica – perché antica, perché sentita- la sua rabbiosa passione con cui si batteva per il recupero di quella struttura fatiscente.
Zio Franco – che era stato anche consigliere comunale e provinciale- era un ulisse del cuore, ogni poco s’imbarcava su navi da sogno e tornava col viso perennemente baciato dal sole ed un fagotto allegro di regali, aneddoti e buonumore.
Nonostante veleggiasse per i novanta, fieramente ancora impugnava il volante, in ossequio memore a quell’amore per la libertà imparato sui banchi di scuola.
Detto che, con tutta probabilità, questa città smemorata, difficilmente comprenderà la grandezza della perdita, mi piace pensare che il dottor Franco Nacci, zio Franco sia soltanto salpato ancora una volta dal porto di questa vita, per solcare mari infiniti che s’abbracciano all’azzurro del cielo.
Dove tutto sarà illuminato dal suo sorriso.