DI DAMIANO MAGGIO, SOCIOLOGO
Attenzione-Attenzione.
Abbiamo sbagliato tutto.
Credevamo che l’Italia (e l’Ue tutta) volesse costruire muri contro gli stranieri, e invece stiamo scoprendo che vuole farlo contro i poveri. Che stupidi, dovevamo capirlo prima, perché lo straniero con i soldi (il calciatore africano, l’imprenditore cinese, l’arabo, etc.) è sempre stato oggetto di ammirazione. L’italiano povero, il barbone, chi è caduto in disgrazia, al pari del rom, di chi sbarca dal barcone o va in giro scavando nei cassonetti, sono tutti lo scarto umano da cui liberarsi il prima possibile e da gettare lontano da noi, perché attentano alla nostra sicurezza e alla tranquillità del nostro quotidiano.
Ma dove avevamo gli occhi? Come al solito, fissi sul dito! Da qualche anno, gli scienziati sociali stanno tentando di interpretare le “nuove” dinamiche, che minano alla base la convivenza sociale e l’azione civica della solidarietà.
Conclusione: quello a cui stiamo assistendo Non è razzismo. Ci sono troppe sofferenze, sorde ma tragiche, su questi volti così stanchi.
E allora che cos’è?
È paura. Soprattutto è la consapevolezza che nessuno di noi deve aspettarsi tempi migliori. La povertà è in costante aumento da anni e nessuno di noi sa bene cosa il futuro ci riserva. Chissà che tra qualche anno non ci si ritrovi anche noi in mezzo ad una strada. E ci ricordiamo le foto dei nostri nonni, nel dopoguerra, in fila per un pezzo di pane.
È paura. Troppe sono le incertezze davanti a noi: povero è anche chi un lavoro ce l’ha ma gli stipendi sono bassi (i più bassi d’Europa) e sui contratti (la maggior parte a termine) c’è troppa indeterminatezza. Il “ceto medio”, da sempre prezioso collante sociale, si assottiglia inesorabilmente: l’ascensore sociale non solo si è rotto, ma anzi è sempre più risucchiato verso il basso. Quello che non si capisce, o si fa finta di non capire, è che la povertà non è un problema solo dei poveri.
È anche un problema di tenuta dei sistemi democratici perché tutto questo crea una moltitudine di insoddisfatti e di arrabbiati, di “traditi”, soprattutto di spaesati e umiliati, o di autopercepiti tali. Se al giorno d’oggi un italiano su quattro si percepisce povero, la dice lunga sullo stato d’animo e sulle ripercussioni sociali che questo comporta.
La povertà, diversamente da quanto si pensa, non è solo una questione privata perché una società spaccata e diseguale pone dei seri rischi alla democrazia (ce lo insegna la storia con la nascita dei vari fascismi/nazismi). Se non c’è sicurezza sociale, non c’è vera democrazia politica e quello a cui stiamo assistendo in tutto il mondo, in questo periodo storico, altri non è che “l’amministrazione della paura” a fini politici, per raggiungere, mantenere o incrementare il potere.
Questo, secondo Zagrebelsky, è il paradosso delle istituzioni: «per contrastare la paura se ne crea una maggiore. Più cresce la paura, più cresce la domanda di maggior sicurezza e, per questo, si è disposti a molte rinunce che riguardano diritti e libertà».
E la paura, al giorno d’oggi è una merce richiestissima offerta a buon mercato: la paura dell’altro, la paura dello straniero, la paura del ladro, la paura di restare senza lavoro, la paura di impoverirci che di riflesso diventa paura contro i poveri.
In definitiva, “guerra tra poveri”, rimestando lì dove la paura attecchisce di più: tra chi è più fragile, tra chi è più spaventato. Ecco perché non siamo razzisti: abbiamo solo paura. L’Italia è stata a lungo latitante rispetto all’adozione di una misura di reddito minimo garantito, tra l’altro fortemente raccomandata a livello europeo.
Da qualche anno abbiamo il “Reddito di cittadinanza” che è stata sicuramente (con alcune criticità) una discreta misura di sicurezza sociale, se non fosse che è totalmente mancata la chiamata in causa dei cittadini “non poveri”, per adempiere al dovere di solidarietà che si deve nei confronti dei membri più deboli della medesima comunità. Non per carità, ma per un diritto e non per un discorso di beneficienza, bensì di giustizia sociale, di tenuta democratica…e per non lasciare il solito carico sulle spalle delle generazioni future.
Queste sono le basi di una sana politica democratica, se pensiamo che già Aristotele nel 1300 a.C. scriveva che così come un corpo è composto di più parti, crescendo deve rispettare una simmetria altrimenti si distrugge, allo stesso tempo lo Stato, sempre composto di più parti, deve far attenzione a questa simmetria tra le parti (la crescita deve essere per tutti) e che se a crescere sono di più i poveri, questo Stato è destinato a distruggersi.