Quella scena, la terribile mattina del 26 luglio 1971, all’Università “Cattolica” di Milano non l’hanno mai dimenticata. Soprattutto perché, dopo 48 anni, rappresenta uno di quei tanti delitti ancora senza nome e cognome. Senza un volto. Senza un perché. Una delle molteplici storie dell’Italia formato “deficit di verità”: un cadavere, un omicidio, e nessun colpevole. E tutto da insabbiare.
I fatti.
È la mattina del 26 luglio 1971, dicevamo. È un lunedì. Il seminarista padovano Mario Toso, 22 anni, dopo la messa delle 8, sale al primo piano della scala G per controllare l’eventuale presenza di comunicazioni che lo riguardavano nella bacheca dell’Istituto di scienze religiose. Il problema, però, è che si ferma attratto dallo scrosciare insistente dell’acqua da un bagno delle donne. Entra per chiudere il rubinetto e si trova davanti alla terribile scena di un delitto: sulla porta e sulle pareti macchie di sangue, ditate e manate dappertutto, e per terra, riverso sul fianco destro, il corpo senza vita di una ragazza. Cerca subito aiuto e di chiamare qualcuno, ma in quel momento, così presto di mattina, non vi è nessuno.
Di chi è il cadavere? Di una bella ragazza 26enne. Si chiama Simonetta Ferrero, scomparsa da casa due giorni prima. Figlia di un dirigente del gruppo “Montedison”, bruna, occhi verdi, laureata in Scienze politiche nell’ateneo di largo Gemelli con una tesi sul concetto di premio nell’ordinamento costituzionale inglese, e a a capo della sezione laureati. Ma anche una volontaria della Croce Rossa e impegnata nel tempo libero anche con le Dame di San Vincenzo.
Per gli inquirenti, in un’epoca in cui non c’era il test sul Dna, le indagini sono subito difficili, anche perché l’arma del delitto scompare subito e non è mai più ricomparsa. Si pensa subito, vista l’efferatezza del delitto, a un qualcosa di passionale (lei, però, non era fidanzata), o una tentata violenza sessuale. E subito le immancabili domande: chi voleva morta Simonetta? Chi l’ha uccisa con ben 32 pugnalate? Perché si trovava lì quella mattina di fine luglio in una Università semi deserta, e con lezioni ed esami già finiti? Secondo qualcuno per ritirare delle dispense nella libreria interna dell’ateneo, che aveva trovato chiusa, secondo altri proprio per fermarsi ai bagni che ben conosceva nell’ateneo che aveva frequentato per quattro anni.
Vengono interrogati gli operai e i pochi studenti presenti nell’ateneo quella mattina. Ma anche altre persone più avanti, per un totale di circa 300.
Non salta fuori nulla, però. Se non un falso ingegnere navale sulla quarantina che frequentava la Cattolica con il solo scopo di importunare le studentesse. Un giovane di 25 anni che aggrediva le ragazze con parolacce. E un altro ragazzo che andava in giro a dire che preferiva le ragazze della Cattolica e mostrava un coltello a serramanico. Anche Toso, il seminarista, si rivela essere una pista sbagliata, così come quella di un prete.
L’ultima puntata di questa storia senza perché va in scena nel 1993. Da quella mattina sono passati già 22 anni. Il questore Achille Serra riceve una lettera anonima nella quale si puntava il dito contro un padre spirituale della “Cattolica”. Salta fuori un altro sospetto: un veneto di 50 anni, che all’epoca prestava servizio all’Università, ma poi allontanato perché aveva importunato alcune ragazze. Ma anche questa pista non ha portato a niente.