La
Domenicamotociclistica appena trascorsa è stata ricca di gare ed ha offerto diversi
spunti di riflessione.
Partirei dalla Superbike, di scena
in Turchia. Il contatto tra le moto di Toni Elias (Aprilia – Red Devils) e Davide
Giugliano (Aprilia – Althea) è stato commentato dai protagonisti con molta
diplomazia. L’inquadratura televisiva ha mostrato, invece, una dinamica in cui
ce ne è stata molta meno. L’Aprilia dello Spagnolo, nella toccata, ha sollevato
l’avantreno e successivamente ha puntato per qualche metro il guardrail prima del muretto dei box: non è stato bello. Se ci fosse
stato un incidente, non credo che la faccenda sarebbe stata trattata tanto
diplomaticamente. La velocità con cui si susseguono gli avvenimenti durante la
corsa ed il carattere competitivo dei protagonisti, probabilmente, rendono
certi dettagli (un gomito alzato, pronto ad intimorire l’avversario) normale agonismo.
Non vorrei, però, che Elias aspetti il momento più propizio, per ricambiare la
cortesia. Non è desiderio di polemica, ma spesso questi comportamenti vengono
giustificati, affermando che il motociclismo è uno sport “maschio”. Superare il
limite e farsi male non è “maschio”, è altro.
Nell’appuntamento nazionale all’ex
Santa Monica, oggi Marco Simoncelli Circuit, la
Moto GP ha mostrato ancora una volta le sue
eccellenze. Jorge Lorenzo e la sua capacità di stare in gara ripetendo tempi
sul giro ottimi, con apparente facilità. Un Marc Marquez che fa del giro
singolo un’arte (in prova) e non molla mai (in gara). Dani Pedrosa veloce e
preciso come un compasso nelle sue traiettorie. Un Valentino Rossi impegnato
nel nuovo “apprendistato Yamaha”, dopo il “delirio” Ducati.
Il podio è stato lo specchio delle
abilità di ciascuno (ovviamente, ma non troppo): Lorenzo (I), Marquez (II) e
Pedrosa (III).
Gli ultimi due, più inquadrati dalla
regia e quindi più protagonisti del solitario vincitore, hanno fatto vedere, a
parità di moto ed a distanza ravvicinata, nelle ultime fasi della gara, due
stili di guida molto diversi. Marquez ha guidato aggredendo la pista con
decisione e sempre al limite, arrivando ad ogni frenata ai margini del “lungo”
(come si dice in gergo). Ogni curva ha visto la sua moto in continuo
beccheggio. La sua guida è apparsa “sporca”, eppure ha avuto la meglio su un
Pedrosa la cui moto sembrava essere su un binario. Anche quando ha provato a
ritornare su Marquez, Pedrosa è stato “fluido”, più rispettoso della moto e delle
gomme ormai affaticate. Proprio le gomme più usurate della sua Honda,
potrebbero avergli impedito di avere una maggiore velocità a centro curva –
come poi ha lamentato a fine gara – che gli avrebbe permesso di restare più
vicino al compagno/avversario di Squadra. La differenza potrebbe averla fatta,
però, anche un diverso settaggio dell’elettronica. In questo caso non ci
sarebbero due stili di guida a confrontarsi, ma due scuole di pensiero: una,
secondo la quale si guida – per quanto possibile – ancora con il polso,
sentendo la moto e gestendone le reazioni (Pedrosa); l’altra, secondo la quale
si apre il gas e ci si affida all’elettronica, per ottenere il massimo
(Marquez).
A me piace la prima e vorrei che
l’elettronica fosse meno presente nella guida. Non dubito del talento dei
piloti, anzi, vorrei che fosse maggiormente esaltato, al netto della
sensibilità di regolare la risposta di tale tecnologia alle diverse condizioni
della pista. Fatto salvo il suo contributo alla sicurezza, sarebbe bella una
guida senza il suo abuso ed il ritorno ad una più vera gestione del mezzo da
parte del pilota. Potremmo averne anche un vantaggio in termini di costi e
quindi un maggior numero di Team capaci
di affrontarsi ai massimi livelli.