Molto spesso la rabbia per un torto
subito, soprattutto a discapito di ciò che si ritiene più sacro, come può
essere appunto la propria abitazione, spinge a commettere delle leggerezze e
delle imprudenze di cui spesso si ignorano le conseguenze.
Se si considera che oggi giorno siamo
costantemente e mediaticamente bombardati tra trasmissioni – denuncia, reporters
d’assalto, youtubers e, dulcis in fundocondividiamo ogni istante della nostra vita su Facebook e sui vari social
network, sarà quasi spontaneo e naturale condividere la rabbia di quel momento
con i nostri “amici” e con i nostri “follower”.
E’ il caso di quanto accaduto ad unnostro concittadino, il quale, nonostante fosse munito di videocamere di
sorveglianza a circuito chiuso, si è ritrovato due soggetti, oltre ad una
ragazza in strada intenta a fare il palo, all’interno del giardino della
propria abitazione e ad assisterne alle loro gesta furtive dal monitor di
vigilanza.
Tralasciando per questioni di spazio
editoriale tutte le riflessioni che si potrebbero effettuare in tema di imputabilità
in caso di soggetti minori d’età, ci soffermeremo sull’ analisi del reato diviolazione di domicilio ex Art. 614 C.P. e di furto in abitazione ex Art. 624
bis C.P., cercando di comprendere se i fatti in oggetto rientrino nelle ipotesi
di delitto tentato o consumato.
Il concetto di domicilio, in tutte le
sue estensioni, va rinvenuto nel corpo dell’Art. 614 del C.P., il quale
sanzionandone la violazione, tende a punire anche coloro che si introducono
all’interno delle pertinenze dell’edificio abitativo stesso, quale può essere
appunto un giardino.
Una bravata del genere può costare
davvero caro per i tre giovani bitontini, poiché il delitto di furto in
abitazione previsto dal nostro codice sostanziale all’Art. 624 bis C.P. prevede
la pena della reclusione va da uno a sei anni e con la multa da € 309,00 a
€1032,00.
Il
furto in abitazione e il furto con strappo costituiscono due fattispecie
speciali di furto, previste dall’art. 624 bisC.P. ed introdotte dalla legge 26.03.2001, n. 128, la quale
abrogando le due originarie aggravanti del furto domiciliare (art. 625, n. 1, C.P.) e del furto con strappo (art. 625, n. 4, C.P..), le elevava a reati autonomi,
con pena pecuniaria triplicata nel minimo.
Tale
iniziativa legislativa, nasceva con lo scopo di contrastare tale forma di «criminalità
diffusa», la quale, oltre alle ripercussioni di carattere patrimoniale, genera
sulla persona offesa un collettivo senso di insicurezza, incidendo
negativamente sulla qualità della vita quotidiana.
Il testo della norma richiama il
concetto di edificio o altro luogo destinato in tutto o in parte a “privata
dimora” e alle pertinenze di essa, specularmente, appunto a quanto previsto ex
Art. 614 C.P. (violazione di domicilio), poiché il la ridetta unità abitativa altro
non è che il locus in cui la persona
svolge e conduce la propria vita domestica, privata e affettiva, la cui
principale caratteristica oggettiva consiste proprio nell’esistenza di uno
spazio delimitato verso l’esterno.
Ratio della nuova
fattispecie, come della vecchia aggravante, è la tutela della sicurezza
domestica, considerando, inoltre, che molto spesso coloro che si accingono a
porre in essere le condotte penalmente rilevanti in esame, non desistano dai
loro obiettivi neppure nel caso in cui nella abitazione vi siano i proprietari,
con conseguente aggravio dell’allarme sociale del ridetto reato.
Appare superfluo rimarcare che il furto
nella propria abitazione, susciti un
senso di perdita ben superiore al danno economico subito ed un senso di
frustrazione e di insicurezza, derivante dall’essere stati i propri beni
domestici e privati in balia di altri, con conseguente violazione della propria
intimità e dalla possibile esposizione a pericolo della propria persona.
Il furto in abitazione, pertanto,
assorbendo la figura delittuosa della violazione di domicilio può ritenersi un reato complesso nel quale, pertanto, si
unificano le due fattispecie.
Tale precisazione, appare necessaria,
alla luce delle molteplici invocazioni della violazione di domicilio che si
sono susseguite nei vari commenti al video pubblicato sul profilo Facebook della
persona offesa dal reato.
Nel caso di specie, infatti, sussiste
l’assorbimento del reato di violazione di domicilio in quello di furto in abitazione,
poiché la prima risulta strettamente funzionale alla commissione del ridetto
reato di furto.
Poiché si cristallizzi la condotta in
esame, è necessario che oltre all’impossessamento della cosa mobile altrui,
mediante sottrazione al legittimo proprietario, vi sia, quale elemento
specializzante di detta fattispecie, proprio l’introduzione all’interno del
domicilio.
La testata del “Da Bitonto” nel proprio
articolo inerente la vicenda de qua, scriveva
erroneamente di “tentato furto” all’interno della abitazione.
A fronte di quanto appena evidenziato,
appare indispensabile effettuare una breve disamina sul delitto tentato e sul
momento consumativo del reato, al fine di poter inquadrare correttamente le
condotte dei tre agenti, in una qualificazione giuridica calzante al caso in
esame.
Risponde del delitto tentato ex Art. 56
C.P. colui che compie atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un reato,
nel caso in cui lo stesso son si compia o non si verifichi.
L’idoneità degli atti richiesta per la
sussistenza del tentativo, comporta la necessità di ravvisare il concreto
pericolo che l’azione possa concludersi con la lesione del bene giuridico non
essendo sufficiente, pertanto, la mera
possibilità che l’azione sfoci nell’evento previsto dalla norma.
Per quanto attiene, invece, l’univocità
degli atti, occorre fare riferimento ad un criterio di “prova processuale”, che
tenga conto non solo dell’atto in sé considerato ma anche di tutte le
circostanze oggettive e soggettive che emergono dalle condotte del reo.
Per ritenersi “consumato” il reato di
furto in abitazione, il cui concetto può rinvenirsi nel dettato delle Sezioni
Unite della Suprema Corte di Cassazione in tema di furto ex Art.624 C.P.,
risulta indispensabile la scansione del sintagma impossessamento – sottrazione,
tenendo presente che i due momenti della condotta sono completamente distinti
ed indipendenti, contrassegnati ciascuno dalla propria autonomia concettuale.
Mentre la sottrazione deve essere intesa
come la creazione di un legame di fatto tra il reo e la cosa mobile,
l’impossessamento costituisce una
signoria autonoma sulla res, al di
fuori della sfera giuridica di vigilanza del legittimo proprietario.
Effettuati questi brevissimi cenni in
tema di delitto tentato e consumato, ed atteso il consolidatissimo orientamento
giurisprudenziale, non ci si può esimere dal definire assolutamente consumato
il reato di furto in abitazione perpetrato ai danni del nostro concittadino,
proprio perché gli autori del reato trovandosi in giardino, erano, di fatto, già
all’interno della privata dimora, procedendo ad impossessarsi e a sottrarre
alcuni oggetti presenti nell’atrio.
La tenuità del danno arrecato, quindi,
non è sufficiente ad annoverare dette condotte nell’alveo del tentativo
soltanto perché i due ragazzi non sono riusciti nell’intento di accedere
all’abitazione principale, né tanto meno le azioni poste in essere potranno
rientrare nelle ipotesi previste dal nuovo Art. 131 bis C.P., introdotto con il
D.Lgs 16 Marzo 2015 n.28 in tema di depenalizzazioni dei reati per tenuità del
fatto.
Nel dettare le regole del nuovo
istituto, il legislatore delegato si è mosso lungo due direttrici: da un lato
la disciplina sostanziale, tutta contenuta all’interno dell’Art. 131 bis C.P.,
che fissa i requisisti le condizioni e i limiti di applicabilità della causa di
non punibilità e dall’altro, la disciplina processuale collocata negli Artt.
411 e 469 C.P.P. e nel nuovo Art. 651 Bis C.P.P..
I presupposti per l’applicazione della
causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto vanno rinvenuti nei
limiti di pena edittali i cui massimi non devono eccedere i cinque anni di pena detentiva, in un’offesa
particolarmente tenue, nonché nella non abitualità del comportamento penalmente
rilevante.
La bravata dei tre ragazzi, pertanto,
non sarebbe rientrata nelle ipotesi previste ex Art. 131 bis C.P., poiché la
pena prevista per il reato di furto in abitazione, così come sopra accennato,
prevede un massimo di sei anni di reclusione, superiore, pertanto, allo scaglione
di cinque anni di reclusione stabilito come sbarramento per l’accesso di
determinate condotte nell’alveo delle ipotesi di tenuità del fatto.
Censurabile, inoltre, risulta la scelta
operata dalla persona offesa, di pubblicare i video di sorveglianza su
Facebook, anche se nell’intento di facilitare l’individuazione degli autori del
reato.
Detto comportamento, infatti, potrebbe
essere assolutamente inquadrabile nel novero degli Artt. 392 e 393 C.P.
mediante i quali, il Legislatore, ha inteso sanzionare coloro che pongono in
essere determinate condotte delittuose al fine di effettuare un esercizio
arbitrario delle proprie ragioni.
In casi analoghi, infatti, è vivamente
consigliato (soprattutto per il buon esito delle indagini) consegnare le
registrazioni di video sorveglianza agli organi competenti affichè questi
provvedano a tutelare gli interessi e i diritti dei cittadini.
Come scriveva il noto giurista Piero Calamandrei “la
giustizia è una cosa seria”.