Eccolo il nuovo romanzo dello scrittore torinese.
Qui i protagonisti non hanno un nome : sono il Padre,
la Madre, il Figlio, la Figlia, lo Zio e la Sposa giovane. Qui è evidente una cosa che chi adora Alessandro Baricco sa già bene: lo stile
non è solo stile, non è solamente un linguaggio, una forma di espressione,
un’atmosfera in cui calare il lettore, una patina, una copertina, una
confezione, qualcosa separato dal contenuto, dalla sostanza. Sarà così per
altri scrittori. Per Baricco no: le frasi lunghe, le subordinate, gli aggettivi accostati
con cura ai nomi, i termini desueti e quelli che forse si farebbe fatica a
rintracciare nel vocabolario, non sono “ferri del mestiere”, strumenti per
esprimersi, espedienti per costruire una musicalità di maniera. Invece sono
l’essenza stessa del racconto, l’unico modo per dar vita ad una narrazione che
scorre fluida, cullando il lettore, immergendolo lievemente nelle vite di
personaggi – la maggior parte delle volte, in fondo, si tratta di gente
abbastanza comune, non eroi – costruiti in maniera “impressionista”, con tratti
essenziali, ma che li caratterizzano fino in fondo, portando chi legge, anche
qui, ad amarli o odiarli già dalle prime pagine.
Il resto conta meno: alla fine la storia in sé può non
essere memorabile, certi passaggi si possono considerare forse un po’
trascurati, una certa insistenza sul sesso giudicata senza ragione. Ma si
conclude la lettura con l’impressione di aver fatto un breve viaggio immersi in
un mondo un po’ fuori dal tempo, poco “realista”, fatto di sensazioni più che
di fatti, di impressioni più che azioni. Se ne esce con l’aria un po’
trasognata, come al risveglio, dopo un sogno che magari si scorderà in pochi
minuti, ma le cui immagini ancora galleggiano, confusamente, in testa.