Prima di addentrarci nei meandri
dell’interrogatorio di garanzia, appare doveroso presentarvi questa nuova
rubrica del “da Bitonto”, a cura dello Studio Legale Ruggiero, la quale si
metterà a disposizione dei lettori al fine di svelare tutti i retroscena legali
e procedurali, prendendo spunto da eclatanti fatti di cronaca accaduti nel
nostro splendido territorio o che interessano membri della nostra comunità
cittadina.
“La parola alla difesa” ci è sembrato il
nome più adatto per questo spazio in tema di diritto, che si discosta
completamente dalle precedenti rubriche legali lontane dal territorio, per far
si che ogni lettore possa trovare in queste righe il proprio difensore, e
perché no, le risposte ai propri problemi di carattere giudiziario.
Indubbiamente tra i cittadini della Città degli ulivi, ha suscitato molto clamore la vicenda della CERIN,
amplificata, ancor di più, dal silenzio degli indagati in sede di
interrogatorio di garanzia dinanzi al G.i.P. presso il Tribunale di Bari, facoltà
costituzionalmente garantita e sin da subito fraintesa come una tacita
affermazione di colpevolezza.
La nostra Carta Costituzionale all’Art.27
comma secondo sancisce uno dei più grandi principi del nostro ordinamento: la
presunzione di innocenza sino al passaggio in giudicato della sentenza
definitiva.
Molto spesso si incorre nell’errore di
ritenere che l’applicazione di una misura cautelare personale, spesso divulgata
con conferenze stampa e spettacolarizzazioni dell’evento (affronteremo in
futuro le problematiche sottese al c.d. “processo mediatico”), altro non sia
che un’anticipazione della condanna definitiva, senza considerare che quella
misura abbia un effetto temporaneo, scandito da dei termini di fase, e
soprattutto che la stessa derivi dalla sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza e dalla necessità di tutelare delle esigenze cautelari, che con lostatus liberatis non sarebbero
garantite.
Preme subito chiarire che non
affronteremo nel merito il caso della società addetta alla riscossione tributi,
bensì esporremo tutte le ragioni per le quali in questa fase, ed in determinate
circostanze, sia inevitabile se non doveroso avvalersi della facoltà di non
rispondere.
Non è un caso che questo delicato
momento della fase di indagine, generalmente prodromico dell’esecuzione di
un’Ordinanza di Custodia Cautelare Personale disposta ex Artt. 273 e 274
C.P.P., sia definito di garanzia. Ma a garanzia di chi?
L’interrogatorio di garanzia, previsto
dall’Art. 294 del codice di rito, è uno strumento predisposto dal nostro
legislatore al fine di assicurare un più ampio diritto di difesa al soggetto in vinculis, che dovrà essere espletato
entro cinque giorni dall’esecuzione della misura.
In questa fase si instaura per la prima
volta il contraddittorio tra il Pubblico Ministero, vero dominus della fase di indagine, e il difensore dell’indagato il
quale si troverà dinanzi a diversi quesiti e problematiche di carattere
tecnico-difensive, prima di poter individuare la giusta strategia utile non
solo al buon esito dell’interrogatorio, bensì dell’intero procedimento penale.
L’interrogatorio di garanzia ha sempre
rappresentato uno degli strumenti di difesa finalizzato alla verifica della
legittimità della misura cautelare, diretto, cioè, a verificare la permanenza
delle condizioni di applicabilità della misura, ed in particolare della gravità
indiziaria e della sussistenza delle esigenze cautelari.
La possibilità di avvalersi del diritto
al silenzio, sancita dall’Art. 64 C.P.P., è figlia della volontà del
legislatore di inserire tale contegno omissivo all’interno delle strategie
difensive dell’indagato, la quale non produce conseguenze per l’intero corso
del procedimento.
La Suprema Corte di Cassazione, difatti,
ha più volte ribadito come la facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio
non costituisca un elemento sfavorevole per l’indagato e che pertanto non dovrà
in alcun modo essere utilizzato ai fini di qualsivoglia valutazione da parte dell’Autorità
procedente (Cfr. Sentenza Gabriel Gomez del 24/09/2008 n. 241321).
Il diritto al silenzio, pertanto, deve
essere valutato all’interno delle tattiche difensive dell’avvocato dell’indagato nel pieno rispetto del dettato
costituzionale di cui all’Art. 27 co.II.
Appurata la natura costituzionale del
diritto di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia, e compreso
come lo stesso istituto sia finalizzato a garantire il diritto di difesa
dell’indagato, appare indispensabile chiarire il perché molto spesso avvalersi
della facoltà di non rispondere, sia l’unica sensata soluzione.
Il difensore, prima dell’esecuzione
della misura, non è a conoscenza di alcun atto di indagine, o meglio, ignora
del tutto l’esistenza di un determinato procedimento penale così come lo ignora
lo stesso indagato.
A seguito dell’applicazione del
provvedimento restrittivo, il difensore è chiamato ad espletare una serie di
adempimenti ed attività che hanno una scansione temporale perentorea, nella
maggior parte dei casi, inadatta ed inadeguata a
predisporre una linea difensiva, nonché ad esaminare gli atti a supporto della
Richiesta di Emissione di Ordinanza di Custodia Cautelare da parte del P.M..
Considerando che molto spesso gli atti
di indagine sono racchiusi in numerosi faldoni, di cui la maggior parte
sicuramente costituiti da intercettazioni telefoniche ed ambientali, e che il
difensore deve visionarli entro cinque giorni dall’esecuzione della misura ai
fini dell’interrogatorio ed entro dieci giorni ai fini del procedimento di
riesame dinanzi al Tribunale della Libertà, comprenderete agevolmente le
difficoltà pratiche a cui si troverà dinanzi il difensore dell’indagato.
A norma del dettato costituzionale degli
Artt. 24 e 111, anche in questa fase deve essere garantito il diritto al
contraddittorio e il diritto dell’indagato a veder realizzate, nel più breve tempo
possibile, le condizioni necessarie per preparare la propria difesa.
Una difesa consapevole, infatti, implica
la conoscenza degli atti compiuti dal Pubblico Ministero in fase di indagine, a
cui segue il diritto di difendersi provando: essere informati al fine di poter
verificare la tesi accusatoria ed eventualmente contrastarla con una valida
tesi difensiva.
Proprio l’analisi delle captazioni
telefoniche, ormai divenute il perno di ogni attività investigativa, richiede
una particolare attenzione oltre che diverso tempo per verificare una mole di
intercettazioni che mai si riuscirà ad esaminare in quella scansione temporale
di cui parlavamo poc’anzi.
Con la Sentenza N. 336/2008 la Corte
Costituzionale ha affermato il diritto incondizionato del difensore di ottenere
la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni delle conversazioni
utilizzate ai fini dell’applicazione del provvedimento cautelare, anche se non
depositate.
Il difensore, pertanto, si ritrova a
dover richiedere copia dei supporti o trascrizioni delle intercettazioni
telefoniche non appena abbia cognizione del provvedimento restrittivo, così
come il Pubblico Ministero sarà tenuto ad evadere la ridetta richiesta il prima
possibile ed in tempo utile per consentire di espletare un consapevole
interrogatorio di garanzia o un riesame della misura cautelare personale.
Nella prassi quotidiana molto spesso non
si ha la possibilità di esaminare per tempo le intercettazioni telefoniche,
rifugiandosi nell’organizzazione di una difesa basata sulle trascrizioni di stralci delle intercettazioni telefoniche,
presenti in seno all’ Ordinanza di Custodia Cautelare, quasi sempre a supporto
della tesi accusatoria, o sul contenuto dei “brogliacci” (riassunti del contenuto delle comunicazioni)
trascritti dalla Polizia Giudiziaria.
In questo contesto si comprende come gli
spazi siano troppo ristretti e la difesa, già fortemente penalizzata, abbia il
compito di rimontare al più presto il gapconoscitivo.
Una difesa efficace impone che al difensore dell’indagato siano
garantiti il tempo e le condizioni necessarie a prepararla.
In un procedimento penale così complesso
come quello che interessa la Cerin, in cui è agevole ipotizzare che un ruolo
fondamentale spetterà ai consulenti tecnici che dovranno ricostruire i
movimenti di tutti i capitali, e considerata la mole degli atti di indagine
(non ancora conclusa), appare facilmente intuibile come in una ristretta
scansione temporale di cinque giorni, non sarebbe mai stato possibile preparare
una difesa tecnica in grado di contrastare le accuse della Procura, e che
pertanto, l’unica soluzione che non avrebbe compromesso ulteriormente la
posizione degli indagati, era rappresentata dal silenzio in sede di
interrogatorio.
Questa scelta difensiva non preclude,
agli stessi indagati, la possibilità di richiedere il medesimo adempimento in
un altro momento processuale, quale potrebbe essere il momento successivo alla
notifica dell’avviso di conclusione di indagine, che metterebbe il difensore in
condizione di analizzare tutti gli atti investigativi, e non solo quelli a
supporto della misura restrittiva, ed organizzare una difesa completa ed
organica in riferimento a tutte le contestazioni elevate.