Votare
Sì, domani, avrebbe i suoi notevoli vantaggi.
Si
darebbe il via a un percorso serio e duraturo di riforme, che
renderebbe lo Stivale più forte, moderno ed efficiente.
Si
concretizzerebbe quello che si è sempre voluto fare da oltre 20
anni, e che nessuno è riuscito a portare in porto (anche se, nel
2006, furono gli italiani a votare “no” alla riforma targata
centrodestra).
Si
darebbe vita a un’Italia più semplice e più forte anche nelle sedi
internazionali.
Metterebbe
più ordine tra ciò che deve fare solo lo Stato e quello che devono
fare le Regioni.
Marco
Lacarra, segretario regionale del Partito democratico e, soprattutto Ettore Rosato, capogruppo dem alla Camera, ieri sera lo hanno
ripetuto fino all’infinito in una Sala degli Specchi colma di gente.
D’altronde, erano le ultime ore di una lunghissima campagna
elettorale, e c’erano ancora degli indecisi da convincere ad andare
alle urne.
“Comunque
vada domenica – è stato il refrain di Lacarra –l’Italia non finisce con questo voto, perché siamo ancora
chiamati a riformare perché l’Italia ne ha veramente bisogno. Certo
è chiaro che se vincesse il Si daremmo l’idea di un Paese più
efficiente, mentre se dovesse prevalare il No daremmo un chiaro
segnale di voler restare fermi.
La
campagna del No è piena di fantasie, perché ci deve spiegare dove
sono le lobby bancarie, le derive autoritarie, e la mancanza di
democrazia. Con questa riforma, raccogliamo soltanto 30 anni di
richieste degli italiani”.
Rosato,
invece, si è concesso alle domande della stampa cittadina. Entrando
nel cuore della riforma, e di quelle che sarebbero i suoi punti di
forza.
Il
rapporto Stato-Regioni, in primis. “Non è vero che si
torna indietro – ha
sottolineato – ma cerchiamo di dare soltanto un ordine alle
competenze territoriali, dopo il caos maturato dal 2001 in poi.
Togliamo le materie concorrenti in cui a legiferare erano sia lo
Stato sia le Regioni, e facciamo capire chi deve fare cosa”.
L’abolizione
del Cnel. “Ci è costato 1 miliardo, ha fatto soltanto 14
proposte di legge e mai nessuna è stata approvata. Le maestranze non
resteranno senza lavoro, ma inserite negli altri organici della
pubblica amministrazione”.
Il
nuovo Senato, quello delle autonomie. “Nel Senato, i territori
avranno grande autorevolezza.Non è vero che sarà un
dopolavoro per i sindaci e i consiglieri regionali e che non potranno
sostenerlo. Si riuniranno 2-3 giorni al mese e saranno orgogliosi di
essere anche senatori”. Che riceveranno sì l’immunità, ma né
indennità e né vitalizi. Avranno uno stipendio pari a quello del
sindaco capoluogo di Regione. E addio ai rimborsi ai gruppi politici del Senato.
Ma
la riforma è davvero una priorità per il Paese? “La
Costituzione è la cassetta degli attrezzi perché, così come è
strutturato l’ordinamento politico, crea instabilità, molto più
della legge elettorale, e un debito pubblico insostenibile. In 70
anni ci sono stati ben 63 governi. Cambiare la Costituzione significa
dare l’avvio, in modo concreto, a una serie di riforme che davvero
servono per cambiare l’Italia”.