Sebbene nel 2004 non ci siano stati referendum nazionali, al contrario dell’anno precedente e di quello successivo (su cui torneremo in seguito), a Bitonto l’argomento fu al centro delle cronache locali in seguito alla proposta di indire referendum popolare per far sì che la cittadinanza si esprimesse sul progetto del parcheggio interrato sotto piazza Aldo Moro.
Un progetto proposto dall’allora giunta guidata da Nicola Pice, anche se, come scrisse il Da Bitonto, l’origine è da cercarsi ancor prima: «Fin dal 1988 il parcheggio in piazza Moro è stato un fiore all’occhiello per politici, amministratori comunali e cittadini impegnati da allora e fino ad oggi nella vita sociale e politica di Bitonto. Un parcheggio ribadito con atti di giunta e di consiglio, previsto nei bilanci finanziari comunali successivi, citato nei programmi elettorali votati dai cittadini».
Prevedeva un parcheggio profondo 15 metri con un’altezza netta di interpiano di 2,40 metri. Cinque sarebbero stati i piani e ognuno di essi, a partire dal secondo, avrebbe avuto una superficie di 2100 metri quadrati. Mille invece per il primo piano. 406 sarebbero stati i posti totali. Dati riportati nella relazione tecnica presentata all’epoca in consiglio e riportata nelle pagine del Da Bitonto.
Un progetto che trovò una forte opposizione in città. Sul fronte del No si schierarono il Da Bitonto, il Centro Ricerche di Storia e Arte e sorse anche un comitato “Salviamo piazza Moro”.
«A seguito della manifestazione pubblica svoltasi nei giorni 22 e 23 novembre, nel corso della quale sono state raccolte oltre 800 firme di elettrici ed elettori bitontini che hanno condiviso il “No al parcheggio interrato previsto in piazza Aldo Moro, proposto dal Comitato Civico Cittadino all’uopo costituitosi – chiese il Comitato – si proceda alla convocazione del consiglio comunale in seduta monotematica sul predetto argomento. Lo stesso consiglio esprima il giudizio di ammissibilità del referendum popolare limitatamente agli elettori residenti nel capoluogo del Comune, come previsto dagli art. 47 e 48 del vigente statuto comunale».
Il comitato si presentò, sulla stampa, come un sodalizio composto da «semplici cittadini di ogni mestiere, professione, estrazione sociale, credo politico ed età, spesso impegnati in associazioni».
Tra le motivazioni dell’opposizione al progetto, ragioni di «ordine funzionale ed urbanistico, ecologiche ed economiche, storiche e sociali. In nessun centro storico d’Italia è stato mai realizzato un tal mostro e laddove lo si è proposto, si è poi fatta marcia indietro».
Il Da Bitonto addusse, tra le ragioni, la deturpazione della piazza e la forza centripeta della circolazione verso il centro per raggiungere il parcheggio: «Il nostro giornale, per la “bitontinità” che lo contraddistingue, scagliò le prime pietre sin dall’inizio, ma la città fece finta di niente; il Da Bitonto rimase solo, nessuno raccolse il segnale».
Il periodico denunciò anche l’assenza di trivellazioni per capire se, al di sotto della piazza, ci fossero preesistenze archeologiche. Che successivi scavi poi riveleranno, tanto da bloccare per mesi, anni i lavori, lasciando la piazza squarciata, con un grosso buco alle spalle della statua di Tommaso Traetta. Furono infatti trovati i resti di pavimentazione di antiche strade.
La storicità della piazza, quindi, furono tra le altre ragioni delle proteste, che videro conferenze, dibattiti. Persino scioperi della fame annunciati dall’anarchico Gino Ancona che, l’11 dicembre 2004, insieme a Girolamo Devanna, organizzò una conferenza dibatto dal titolo “Una piazza da salvare. Una lotta contro la speculazione”. L’anarchico finì persino in tribunale, anni dopo, per gli alterchi avuti con le forze dell’ordine durante le sue manifestazioni di dissenso.
Tra gli oppositori all’opera ci fu anche Umberto Kühtz, colui che, prima di Pice, aveva ricoperto la carica di sindaco. Ricordando il salvataggio dei palazzi ottocenteschi, che fu per lui, sino agli ultimi giorni, sempre motivo di vanto, Kühtz denunciò nel numero del “da Bitonto” di novembre – dicembre 2003, i rischi per il patrimonio storico artistico che quella piazza ospita e il rischio di perdere un importante luogo di aggregazione per giovani e anziani, in barba alla tendenza ad «allontanare il traffico automobilistico da tutti i centri storici d’Italia e del mondo per riproporre ai cittadini spazi qualificati ed umani da godere e da vivere». In breve, il primo sindaco eletto dai cittadini ricordò il rischio che, anche a Bitonto, potesse succedere quanto avvenuto a Bari nel quartiere murattiano con il «disastro della selvaggia edilizia di sostituzione dei palazzi ottocenteschi» che avrebbe reso, a suo dire, invivibile quella parte del capoluogo.
L’opposizione alla giunta Pice ne fece un cavallo di battaglia sia durante il secondo quinquennio, sia durante la campagna elettorale del 2008 che portò Raffaele Valla a prendere il posto del professore, criticando la scelta che, secondo loro, avrebbe portato maggiore caos e congestionato ancor di più il traffico.
«Non votate a quelli che volevano fare l’autosilo sotto piazza Moro» disse sul palco, in un colorito vernacolo bitontino, un sostenitore di Valla.
La battaglia durò mesi, anni. Alla fine, il fronte del No la ebbe vinta. Il Comune abbandonò il progetto. Ne seguì una causa con l’impresa appaltatrice che si concluse il 2016 con la sentenza dell’agosto 2016 che ne rigettò tutte le istanze.
«Ci si inventò di tutto per bloccare il parcheggio che avrebbe decongestionato il traffico. Chi pensò al recupero del centro storico previde il parcheggio come funzionale all’obiettivo. A Spoleto hanno realizzato una metropolitana pedonale fra gli scavi. Il vero danno si è creato non facendolo più. Se vogliamo attrarre turisti, dobbiamo garantir loro comodità. Che quel parcheggio avrebbe consentito, garantendo anche diversi vantaggi alle attività commerciali del centro storico» riferì, anni dopo, in aula consiliare l’allora consigliere Francesco Paolo Ricci (Pd) che tuonò in difesa di quell’ormai defunto progetto, sostenuto, in successive diverse occasioni, anche da Pice.