Dalle elezioni politiche del 24 e del 25 febbraio 2013 emerse un risultato senza precedenti nella storia italiana. Non solo perché nessuna delle coalizioni fu in grado di ottenere una vittoria netta, ma anche perché, ad affermarsi, fu una lista dai forti toni antipolitici e populisti: il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.
Ma andiamo con ordine. Nel 2013 giunse a conclusione la XVI legislatura, che era iniziata nel 2008 e che aveva portato al governo Berlusconi IV, caduto però nel novembre 2011, con la crisi del debito sovrano europeo. A sostituirlo fu il governo guidato dall’economista Mario Monti, che mise su un governo tecnico che ebbe una larghissima fiducia sia alla Camera sia al Senato. Dall’esecutivo Monti furono promossi diversi provvedimenti, definiti “politiche di austerità”, con il fine di ridurre la spesa pubblica e incrementare le entrate fiscali, per migliorare la competitività dell’economia italiana. Riforme, accolte molto male dall’opinione pubblica italiana, ma percepite positivamente dall’Unione Europea e dai mercati finanziari, accrescendo la fiducia internazionale nell’Italia.
Si votò con la legge Calderoli, il cosiddetto “Porcellum”. Sei furono le coalizioni in gara. Guidata dal premier uscente, la coalizione “Con Monti per l’Italia” era composta da Scelta Civica, Unione di Centro, Futuro e Libertà e Movimento Associativo Italiani all’Estero.
Per il centrosinistra, la coalizione “Italia bene comune” composta da Partito Democratico, Sinistra Ecologia Libertà, Centro Democratico, Il Megafono, Moderati, Partito Socialista Italiano, Südtiroler Volkspartei, Partito Autonomista Trentino Tirolese, Verdi del Sudtirolo e Autonomie Liberté Démocratie. A guidarla il segretario del Pd Pier Luigi Bersani.
La coalizione nacque l’anno precedente e il candidato fu scelto con le primarie di novembre 2012. Bersani vinse al primo e al secondo turno con il 45% e 61% dei voti contro l’allora presidente della regione Puglia Nichi Vendola, il Sindaco di Firenze Matteo Renzi, Bruno Tabacci e Laura Puppato.
La coalizione di centrodestra era guidata ancora una volta da Silvio Berlusconi ed era formata da Popolo della Libertà, Lega Nord, Fratelli d’Italia, La Destra, Partito Pensionati, Grande Sud, Movimento per le Autonomie, Cantiere Popolare, Moderati in Rivoluzione, Intesa Popolare, Liberi per una Italia Equa e Basta Tasse.
A sinistra c’era anche Rivoluzione Civile, lista elettorale rappresentata dal magistrato Antonio Ingroia e composta da Italia dei Valori, Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Verdi, Azione Civile, La Rete 2018, Nuovo Partito D’Azione e Movimento Arancione.
C’era poi Beppe Grillo che, insieme a Gianroberto Casaleggio aveva trasformato la lista “Amici di Beppe Grillo” nel Movimento 5 Stelle e che, dalle piazze, con il suo Tsunami Tour promuoveva il suo movimento come una forza politica innovatrice in grado di contrastare i partiti politici tradizionali. Un prosieguo dei Vaffa Tour del 2007 e del loro populismo antipolitico e antipartitico.
Infine, c’era la lista “Fare per fermare il declino” di Oscar Giannino, giornalista che già in passato aveva militato nel Partito Repubblicano Italiano.
Parleremo in seguito dei principali personaggi che si sono affermati nel panorama politico di questi anni, da Grillo a Renzi, da Salvini ad Emiliano, fino ad arrivare all’attuale premier Giorgia Meloni.
Limitiamoci, in questa sede, a ricordare le elezioni politiche in Italia del 2013, che portarono nella Camera dei Deputati ben due bitontini. Si tratta di Gaetano Piepoli, docente ordinario di diritto privato candidato per Scelta Civica per Monti, e Francesco Cariello, ingegnere e militante del Movimento 5 Stelle. Oltre al rieletto Francesco Paolo Sisto, avvocato penalista ed esponente del Popolo della Libertà, dalla famiglia di origini bitontine.
Gli italiani aventi diritto di voto per la Camera dei Deputati erano 50 449 979 (26 088 170 donne e 24 361 809 uomini). L’affluenza fu del 75,20%, il 5,31% in meno rispetto alle precedenti politiche.
La lista più votata fu il Movimento 5 Stelle che, nel 2013, raggiunse l’apice del suo consenso elettorale. In Italia ottenne il 25,55% dei voti alla Camera e il 23,79% al Senato.
Seguì il Partito Democratico (25,42 e 27,43%), il Pdl (21,56 e 22,30%), Scelta Civica (8,30 e 9,13%), Lega Nord (4,08 e 4,33%), Sinistra Ecologia Libertà (3,20 e 2,97%), Unione di Centro (1,78 e 5,69%), Futuro e Libertà (presente solo alla Camera e destinataria dello 0,46%).
Anche a Bitonto la lista più suffragata fu il M5s con il 25,65% alla Camera e il 24,27% al Senato. Ma subito dopo ci fu il Pdl (32,49 e 33,60%), mentre il Pd fu la terza lista (17,99 e 19,49%). Seguirono Scelta Civica (7,87 e 8,42%), Sinistra Ecologia Libertà (6,41 e 6,35%), e le altre liste che, nel nostro collegio furono decisamente minoritarie.
Le elezioni del 2013 furono un vero e proprio trampolino di lancio per Beppe Grillo e il suo movimento che, con quella percentuale di consensi, divenne la prima forza politica nazionale. Non diventò forza di governo, ma quel successo servì da apripista per la loro esperienza di governo, di lì a qualche anno.
Come già anticipato, nessuna delle coalizioni ottenne una netta vittoria e il quadro che uscì dalle urne fu profondamente instabile. Se pur di pochissimo, la coalizione più votata alla Camera dei Deputati fu quella di centrosinistra, Italia Bene Comune, che raggiunse il 29,55% dei suffragi, poco più dello 0,30% rispetto al centrodestra. Ebbe così, in base alla tanto criticata legge Calderoli, un premio di maggioranza che permise di ottenere il 55% dei seggi (345 su 630). Ma al Senato la situazione era molto più complessa. Italia Bene Comune ebbe 113 seggi, pur essendo, nel complesso la coalizione più votata. Il centrodestra, invece, ottenne 117 seggi. Il M5s ottenne 54 seggi e Con Monti per l’Italia 19.
Non poté che seguire un periodo di stallo in cui fu impossibile nominare l’esecutivo. Finché non si formò un governo di grande coalizione, il primo nella storia della Seconda Repubblica, con il vicesegretario del Pd Enrico Letta a capo del potere esecutivo. La carica di vicesegretario fu affidata al segretario politico del Pdl Angelino Alfano.
Ma Letta durò ben poco. Un anno. Soprattutto a causa di contrasti interni al Pd, con il segretario Matteo Renzi. Che, nel febbraio del 2014, andò al suo posto e diede vita, insieme a Berlusconi, al cosiddetto “patto del Nazareno”, volto ad avviare una serie di riforme istituzionali, fra cui una nuova modifica del titolo V della parte II della Costituzione, con la trasformazione del Senato in una Camera delle autonomie e una nuova legge elettorale. Un patto che durò un anno, fino a quando, nel febbraio 2015, con l’elezione di Mattarella a Capo dello Stato, Berlusconi dichiarò terminata la cooperazione con Renzi. Non senza contrasti e fratture nel centrodestra.