Nelle puntate precedenti di questa rubrica, quando abbiamo parlato dei nuovi temi, delle nuove realtà associative, delle nuove modalità di partecipazione politica, che si diffondono negli anni ’70, i lettori avranno senz’altro fatto caso alle frequenti citazioni riguardanti il Partito Radicale. Dall’appoggio alle lotte femministe a quello dato ai movimenti omosessuali, dall’impegno a favore del diritto al divorzio alla causa ambientalista, i radicali si impegnarono giungendo ad ottenere consensi mai raggiunti prima.
In quel decennio, infatti, i radicali conobbero una nuova fase di protagonismo, facendo proprie le battaglie per i diritti civili, oltre a quelle per l’abolizione del Concordato tra Stato e Chiesa, per la riforma del diritto di famiglia, contro i finanziamenti occulti alla politica e contro i finanziamenti pubblici ai partiti. Si imposero, in questo modo, con una nuova forza, riuscendo, nel 1976 ad avere, per la prima volta, una propria rappresentanza parlamentare (il massimo storico fu raggiunto nel ’79).
Sebbene esistesse, infatti, dal ’55, avendo scelto di condurre le battaglie politiche senza presentarsi alle elezioni politiche o presentandosi insieme ad altre liste, come ad esempio quella dei repubblicani, che ospitò spesso suoi esponenti, il Partito Radicale mai, prima del ’76, era riuscito ad avere propri rappresentanti nelle due aule del Parlamento. Spesso non si presentava proprio alle elezioni o si apparentava con altre liste o, ancora, si limitava a sostenere specifici candidati. Nel ’72, inoltre, si presentò con il proprio simbolo, ma solo per invitare la gente ad astenersi.
A dare al partito la linea che lo portò al protagonismo degli anni ’60 e ’70 fu Marco Pannella, che, nel ’62, ne aveva raccolto la leadership, dopo una crisi che lo vide quasi sparire, quando il precedente segretario Leopoldo Piccardi fu accusato dallo storico Renzo De Felice di essere stato tra coloro che, tramite convegni e dibattiti sul tema, avevano spianato la strada all’elaborazione delle leggi razziali, nel ’38. Assumendo le redini del partito Pannella lo trasformò in una nuova organizzazione caratterizzata dall’internazionalismo federalista, dall’antiautoritarismo, dalla non violenza e dalla disobbedienza civile, come è scritto nella biografia scritta sul sito web del partito: «Nel solco delle polemiche di Ernesto Rossi e della tradizione libertaria ed umanitaria socialista, Pannella accentua la linea di intransigente anticlericalismo e antimilitarismo, e affianca con iniziative militanti inedite per l’Italia le lotte per i diritti civili che in quegli anni scoppiano nei campus americani ed europei con la forza della nonviolenza gandhiana».
Esponente di una corrente fino ad allora minoritaria, quella della sinistra radicale, Pannella diede un nuovo volto al partito, che, per alcuni dei suoi punti programmatici, fece proprie anche alcune critiche al sistema dei partiti vigente allora in Italia. Critiche che si manifestarono nella campagna contro i finanziamenti pubblici, che portò, nel ’78, ad un secondo referendum abrogativo della legge che li garantiva. Quello del referendum, infatti, fu un importante strumento utilizzato dai radicali per promuovere le proprie battaglie.
Proprio per il suo essere strumento di democrazia diretta, sottratto al potere dei partiti, il referendum fu utilizzato più e più volte dai radicali, che ne fecero uno dei nuovi strumenti di lotta. Anche per campagne che, poi, si rivelarono fallimentari, come fu, appunto quella del ’78. I radicali si distinsero anche l’uso di altri strumenti per denunciare la crisi, l’inefficienza e il consociativismo del Parlamento e della partitocrazia. Strumenti come lo sciopero della fame, praticato spesso da Pannella, come forma di protesta e di rivendicazione di determinate istanze, l’ostruzionismo, iniziative legislative trasversali e i canali di Radio Radicale, nata nel ’76 proprio in opposizione alle leggi sul finanziamento pubblico sui partiti. Non potendo, per legge, rifiutarli, i radicali decisero di utilizzarli per altre iniziative politiche, come la fondazione della radio, dal momento che, proprio in quegli anni, la liberalizzazione delle frequenze radiofoniche stava permettendo la nascita di tante nuove radio. E Radio Radicale si caratterizzò sin da subito per l’introduzione di un modello di informazione politica, eliminando, ad esempio, la mediazione giornalistica e trasmettendo integralmente gli eventi politici e le sedute parlamentari, con gli obiettivi di pubblicizzare l’attività nelle istituzioni e garantire maggiore accessibilità ai cittadini.
Ma il Partito Radicale non fu solamente un partito. Non nel senso tradizionale, come i partiti popolari di massa su cui si reggeva la politica dell’Italia repubblicana. Erano, al tempo stesso, un movimento, sulla scia delle nuove forme di aggregazione che, in quel periodo nacquero e si imposero nell’arena politica, captando nuove istanze sentite in larga fetta dell’opinione pubblica, ma spesso e non riconosciute importanti dai partiti di allora, tra cui cominciava a serpeggiare un senso di disorientamento dovuto sia alla crisi economica che aveva posto fine al cosiddetto “Trentennio glorioso”, sia alle contestazioni, di cui spesso erano stati oggetto. Movimenti e realtà che agivano talvolta a fianco, talvolta conto i partiti, e che sconvolsero le vecchie frontiere tra destra e sinistra, intaccando tutte le appartenenze di partito, come ben ricordò Pietro Scoppola in “La repubblica dei partiti”. Lo stesso meccanismo della doppia tessera, la possibilità, cioè, di iscriversi nonostante si avesse già la tessera di un altro partito, nel caso in cui si condividessero alcune delle battaglie. Una cosa inconcepibile per le altre forze politiche del tempo, per i tradizionali partiti di massa, quelli in cui si era iscritti “dalla culla alla bara”. La doppia tessera era da un lato un modo per garantirsi una via secondaria per accrescere gli iscritti e accedere in Parlamento, dal momento che restava un partito minoritario, dall’altro era un modo per scardinare quell’assetto politico formato dai partiti tradizionali, accusati di settarismo, come spiegò bene lo stesso Pannella: «La doppia tessera è un modo per distruggere il valore sacrale della tessera. E l’hanno fatta compagni del Partito Comunista degli anni ’60, con quel partito!».
A Bitonto a iscriversi al Partito Radicale, mantenendo la tessera del proprio partito di provenienza, fu Vincenzo Fiore all’epoca segretario provinciale di Bari del Partito Socialdemocratico Italiano (Psdi), che, per l’occasione, il 2 dicembre 1986 fu intervistato da Giancarlo Loquenzi di Radio Radicale: «Il motivo della mia decisione è la considerazione che noi, socialisti democratici della Terra di Bari, abbiamo sempre avuto nei confronti delle battaglie laiche che i radicali hanno condotto da quando è nato. […] Questa considerazione per gli amici radicali che stanno lottando per la sopravvivenza, ha portato la mia persona a decidere per la doppia tessera, così come ha portato l’intero gruppo consiliare del comune di Bitonto, da me guidato (cinque consiglieri comunali) a devolvere il gettone di presenza di due sedute del consiglio al Partito Radicale. Senza voler mettere alcuna medaglia, perché sarebbe un protagonismo sciocco e stupido, ci tengo a sottolineare che i socialdemocratici in terra di Bari, attraverso il gruppo consiliare di Bitonto sono stati i primi, in provincia di Bari, ad avere questa considerazione del Partito radicale. Anche altri miei compagni di partito hanno preso la doppia tessera. Mi riferisco al compagno avvocato Paolo Mazzone, del direttivo provinciale del partito, al segretario amministrativo della sezione di Torre a Mare Antonio Luisi e al compagno Carlo Di Cosola, responsabile regionale dell’Aitef, l’associazione che cura i rapporti con gli emigrati».
E, commentando le notizie di quel giorno delle dimissioni del segretario del Partito Radicale Giovanni Negri e del presidente del partito Enzo Tortora e della crisi di tesseramenti che era in corso, Fiore aggiunse: «Nel caso in cui il Partito Radicale scomparisse (io mi auguro di no), verrebbe a mancare una voce libertaria all’interno del sistema politico italiano e verrebbero meno quelle battaglie che il partito ha condotto per il mondo dell’informazione, per un’informazione più giusta e meno legata agli stessi partiti politici. In altri termini sarebbe una grave iattura per la democrazia italiana».