1946. Un anno particolare per l’Italia che, appena uscita da una guerra lunga e sanguinosa prima e dal fratricida conflitto civile, affrontava l’ardua sfida della ricostruzione e della creazione di un nuovo regime democratico, sulle ceneri del fascismo, discuteva se restare in uno stato retto dalla corona sabauda o se passare alla forma repubblicana.
Il tutto, mentre è ancora impegnata ad affrontare le conseguenze della guerra, come la questione dei confini, il problema dei reduci, che chiedevano lavoro e riconoscimento per i loro sacrifici e un ruolo nella ricostruzione, le richieste di diversi stati che volevano la consegna dei militari accusati di crimini di guerra, la povertà dilagante e diversi problemi di ordine pubblico derivanti dalla circolazione di armi belliche, dalla stessa povertà e dalla fame, che rendevano il terreno fertile per una fitta rete di contrabbando. La società era frantumata e la richiesta di diritti, da parte delle varie categorie, era spesso causa di manifestazioni e scontri con le forze dell’ordine e anche con gli inglesi, che ancora permanevano su suolo pugliese.
Anche a Bitonto, retta dal commissario Arcangelo Pastoressa, che sarà qualche anno dopo di nuovo sindaco per il Pci, la situazione era infuocata. A fine ’45 i frantoiani insorsero contro le condizioni di vita e di lavoro, dove gli scioperi degli operai e dei braccianti finivano spesso in scontri con polizia e carabinieri, talvolta anche con morti e feriti. Dove gli ordigni inesplosi continuavano ad uccidere e dove un militare polacco, nel febbraio ’46, fu ritrovato morto, ucciso da mano ignota.
All’inizio del 1946 l’Italia si preparava per due appuntamenti importantissimi: le prime elezioni amministrative, per l’istituzione dei consigli comunali, è il referendum istituzionale che si sarebbe svolto all’inizio di giugno. I primi mesi dell’anno, dunque, furono inevitabilmente mesi pieni di dibattiti e discussioni, confronti e scontri ideologici. Le varie forze politiche che, insieme, avevano avversato il fascismo, ora si scontravano per realizzare, in Italia, la propria idea di società, in un clima che non era privo di sospetti e rivalità. Sospetti che riguardavano principalmente i comunisti, accusati di dirsi per la democrazia, ma, allo stesso tempo di voler costruire uno stato comunista, e i qualunquisti, accusati di essere un partito di stampo fascista (la presenza di esponenti del vecchio regime, nonostante i proclami di Giannini, non aiutava a smorzare questi sospetti).
In Puglia e nel barese, la campagna elettorale per i due appuntamenti iniziò nel gennaio del’46. I partiti nati dalle forze del Cln (ma non solo) si presentavano alla popolazione e si candidavano a guidare le diverse amministrazioni. Attraverso congressi, comunicati pubblicati dalla stampa, guide al voto e manuali di propaganda (che furono anche strumenti di alfabetizzazione per una larga fetta di popolazione analfabeta), attraverso proclami annunciati, anche in dialetto, via megafono dalle diverse sezioni dislocate sul territorio. Era un clima politico nuovo, in cui, per la prima volta, anche le donne si preparavano ad esprimere il proprio parere, insieme a tutta la popolazione dei 21 anni in su.
Il Partito Socialista invocava la riforma agraria, per migliorare le condizioni di chi, specialmente nel Meridione, viveva come bracciante, in un’agricoltura ancora soggetta al latifondo. Una delle prime occasioni, in terra di Bari, per rendere noto il proprio programma fu il congresso che, all’inizio di febbraio si tenne al Teatro Piccinni, in cui intervennero rappresentanti di altre forze politiche, come comunisti e repubblicani.
Qui i socialisti palesarono tutte le proprie aspettative sul voto amministrativo, spiegando che non si sarebbero risolti, sin da subito, i gravi problemi che affliggevano l’Italia, ma che la democratizzazione dei consigli comunali avrebbe portato alla progressiva conquista della società da parte dei lavoratori.
I socialisti promuovevano la repubblica, come anche i comunisti, che, nella stessa sede, per voce di Ruggiero Grieco, individuavano come soluzione della questione meridionale l’equa distribuzione delle terre e la distruzione del latifondo, unica alternativa per non tornare al caos e al fascismo. Per i comunisti bisognava abbattere ogni residuo del fascismo ed era necessaria l’unità delle forze democratiche.
Dure le accuse al Fronte dell’Uomo Qualunque, che pure in quei giorni celebrava il congresso al Teatro D’Oriente a Bari, e alla monarchia. Il primo era un “ricettacolo di ogni detrito reazionario”, mentre la seconda era vista come punto di riferimento di gruppi capitalisti e agrari. Nell’ottica comunista la lotta al capitalismo prevedeva, quindi l’abbattimento della monarchia, oltre all’alleanza tra contadini del Sud e operai del Nord, per abbattere tutte le forme di sfruttamento capitalista.
«Non è vero che il Mezzogiorno è per la monarchia. Chi lo dice insulta il sangue dei tanti che sono morti per la democrazia» disse in quell’occasione Grieco. La storia gli diede torto, dato che i voti per restare sotto i Savoia, al Sud, furono di più. Quasi dappertutto, in Puglia, la monarchia vinse.
Dal fronte politico opposto, i qualunquisti si difendevano dalle accuse di fascismo, avanzate anche durante le incursioni di militanti di sinistra ai propri appuntamenti. Nell’ottica qualunquista la disorganizzazione statale era da attribuirsi all’oligarchia dei partiti, ad una epurazione politica male attuata e protrattasi nel tempo e ai professionisti della politica, colpevoli di arrogarsi il diritto di agire e parlare in nome del popolo, dopo averlo portato nelle sciagure della guerra. Un linguaggio che ben lascia intuire la natura antipolitica e soprattutto antipartitica del movimento fondato da Guglielmo Giannini, secondo cui “lo Stato deve essere servo e non padrone” e i cittadini devono avere potere di controllo sui governanti.
La Democrazia Cristiana, nei manifesti affissi, si proclamava un partito di popolo che propagava l’uguaglianza di tutte le classi sociali e traeva la propria base morale dal cristianesimo. Denunciava il pericolo comunista e auspicava un pacifico accordo di collaborazione tra Chiesa e stato italiano, l’integrità della famiglia, attraverso la tutela dell’indissolubilità del matrimonio e attraverso politiche per l’educazione dei figli, per la maternità, l’assistenza all’infanzia e la moralità pubblica. Promuoveva una politica economica che stimolasse l’iniziativa individuale, tutelasse la proprietà privata, ponesse le condizioni per un sano sviluppo industriale e dell’artigianato e liberasse dal bisogno i cittadini che lavoravano attraverso un equo salario che permettesse di vivere con dignità. Proponeva di sviluppare l’agricoltura attraverso riforme volte alla diffusione della piccola proprietà rurale, al miglioramento della mezzadria. In politica estera, infine, rifiutava i pericolosi nazionalismi che, negli anni precedenti erano stati causa di guerra.
Diversi furono gli esponenti politici, locali e nazionali, che si affacciarono a Bitonto per la campagna elettorale che, tra amministrative e referendum istituzionale, durò per quasi tutta la prima metà del ’46. Per i comunisti venne Giuseppe Di Vittorio, il noto sindacalista di Cerignola, mentre per Dc e socialisti i comizi di chiusura furono tenuti, rispettivamente, dal professor Giuseppe Tempesta e dal professor Carlo Colella.
Le elezioni amministrative sancirono la vittoria democristiana e portarono alla nomina a sindaco di Nicola Calamita (1946-1952), fortemente voluto dal vescovo Andrea Taccone e dal futuro senatore Nicola Angelini. La Dc, con 7813 voti, superò il Partito Comunista e il Partito Socialista, che ottennero, rispettivamente, 2718 e 2771 suffragi, i reduci presero 885 voti, liberali e qualunquisti, in totale, 859, mentre azionisti e repubblicani 557.
La campagna elettorale prosegui in vista del referendum del 2 giugno, con la sinistra compatta per la repubblica e altre forze, come Dc e Pli, divise al proprio interno. Il risultato è ben noto. La repubblica vinse, ma il Sud preferì la Monarchia. A Bitonto i monarchici, con 10095 preferenze, raggiunsero il 60,77%, mentre la repubblica ottenne 6517 voti, il 39,23%.