«Chiediamo che il Parlamento rifletta sul terzo mandato dei sindaci, visto che siamo l’unico Paese europeo che prevede un limite di due mandati. Il sindaco può essere bocciato dai cittadini, mentre ci sono parlamentari che nessuno conosce e che vengono continuamente eletti».
Così, a giugno, si espresse il sindaco di Bari Antonio Decaro, riprendendo un tema su cui in tanti, tra governatori di regione, sindaci ed esponenti politici si sono espressi in maniera favorevole: quello del terzo mandato per sindaci e presidenti di regione. Un tema che, da qualche anno, è oggetto di una intensa battaglia dell’Anci, l’Associazione Nazionale Comuni Italiani, di cui Decaro è presidente nazionale: «Perché un deputato può essere eletto tutte le volte che vuole e un sindaco no? Ma se un sindaco fa bene e viene votato perché la sua comunità deve essere costretta a privarsene?».
Anche nel suo stesso partito, il Pd, altri lo hanno chiesto, a partire dal governatore campano Vincenzo De Luca, che ha espresso la volontà di modificare lo statuto della regione Campania per poter avere la possibilità di candidarsi per la terza volta. E anche l’omologo pugliese Michele Emiliano ha mostrato apertura all’argomento. Ma il fronte di chi è favorevole al terzo mandato è bipartisan.
Attualmente, il limite per sindaci e governatori il limite è di due mandati consecutivi. Un limite che esiste sin da quando il sindaco è scelto con elezione diretta. E, cioè, sin dal 1993, quando fu approvata la legge n.81 che rivoluzionò le modalità di elezione nei comuni italiani. Il suddetto limite è sancito nell’articolo 2 della legge, che inizialmente prevedeva un mandato di 4 anni, esteso a 5 con l’approvazione del Testo Unico degli Enti Locali (Tuel – D.Lgs. 267/2000, art. 51) che ha però mantenuto il limite di due mandati.
Questa norma ha visto una prima modifica con la legge Delrio che ha esteso il limite a 3 mandati per i soli comuni con popolazione fino a 3mila abitanti. Limite esteso a 5mila abitanti nel 2022, con l’approvazione di una nuova modifica del Tuel.
Modifiche dettate dal giustificato timore che, nei comuni più piccoli, sia sempre più difficile trovare persone disposte ad assumersi questo tipo di responsabilità, con il rischio di avere comuni senza sindaco, a causa di una mancata disponibilità a candidarsi, a fronte di un’indennità spesso insufficiente ed enormi responsabilità civili e penali.
Alcuni sindaci, però, vorrebbero portare a 3 il limite, se non proprio abolirlo, anche per i comuni con popolazione maggiore di 5mila unità.
«Il Lussemburgo prevede quattro mandati e gli altri Paesi Europei nessuno. Il sindaco di Parigi può candidarsi quante volte vuole e può fare anche il parlamentare, mentre da noi il Parlamento ha paura dei sindaci, di una deriva autoritaria legata all’elezione diretta del primo cittadino» disse Decaro durante un seminario organizzato da Anci Campania a Caserta: «I due mandati sono un limite al diritto costituzionale di elettorato attivo e passivo che non vale per nessun’altra carica elettiva e per nessun altro livello di governo».
La vicinanza di Decaro all’ex sindaco bitontino Michele Abbaticchio fece pensare, tra l’altro, che, in caso di approvazione per tempo della proposta di terzo mandato per i comuni maggiori (mai avvenuta), sarebbe stata possibile un’ulteriore ricandidatura per l’ex funzionario alle amministrative 2022. Scenario che si è poi rivelato falso, come la storia recentissima ci ha mostrato.
Proprio tra i sindaci di tutta Italia, il fronte dei favorevoli è ampio. Anche tra quelli del Pd, come, ad esempio, il primo cittadino di Siena Matteo Biffoni: «Questa è la richiesta dei sindaci, da sempre, e come presidente Anci Toscana lo farò. E lo farò convintamente, perché […], comunque la si pensi, i sindaci sono il primo fronte, riferimento immediato delle comunità ed eletti direttamente. Siamo l’unico Paese europeo ad avere un limite di due mandati. Tra l’altro nel nostro sistema elettivo i sindaci passano dal giudizio diretto dei cittadini, o vinci o perdi. Se hai lavorato bene, se hai conquistato la fiducia dei tuoi elettori, se sei riuscito a convincerli con una proposta seria allora, forse – perché questo non sempre basta -, sarai rieletto. Altrimenti no».
Ma il tema non vede concorde la totalità del suo partito, a partire dalla segreteria nazionale. Elly Schlein si è, infatti, espressa in maniera contraria.
Ma il tema raccoglie consensi anche al di fuori del Partito Democratico. A partire dalla Lega, il cui segretario, Matteo Salvini così disse sul Mattino di Napoli: «Io sono a favore del terzo mandato per governatori e sindaci. Io sono contro i tagli lineari. Se uno è bravo e viene scelto dai cittadini e ha fatto due mandati, se si vuole ricandidare e i cittadini lo riscelgono, perché no?».
A dare manforte al fronte dei contrari, la Corte Costituzionale, secondo cui il limite al numero di mandati rappresenta un punto di equilibrio necessario a bilanciare la concentrazione di potere in capo al sindaco: «La previsione di un tale limite si presenta quale punto di equilibrio tra il modello dell’elezione diretta dell’esecutivo e la concentrazione del potere in capo a una sola persona che ne deriva»: sistema che può produrre «effetti negativi anche sulla par condicio delle elezioni successive, suscettibili di essere alterate da rendite di posizione».
La Corte, con il suo intervento, ha voluto mettere in guardia il legislatore da modifiche che, nonostante possano apparire marginali, non lo sono affatto. Secondo l’organo di garanzia costituzionale, passare da due mandati a tre, se non addirittura a quattro, come propone qualcuno, significherebbe estendere di molti anni la possibile permanenza al potere di un’unica figura. Tre o quattro mandati consecutivi infatti corrispondono rispettivamente a 15 o 20 anni, con la stessa persona al governo cittadino.
Con il rischio concreto di effetti distorsivi, a partire da una crisi di rappresentatività democratica nei comuni, che verrebbero privati di un necessario ricambio, e dal declino verso situazioni che potremmo classificare come governatorati assoluti in salsa locale. Senza contare che a risentirne sarebbe anche il ricambio in politica nazionale, dal momento che i comuni sono anche il bacino di approvvigionamento di nuovi parlamentari.
Una riforma del genere, inoltre, amplificherebbe il fenomeno della personalizzazione della politica locale, che abbiamo già trattato nel precedente appuntamento della presente rubrica. Un fenomeno già ampiamente esteso che ha trasferito eccessivi poteri ma anche responsabilità alla carica monocratica del sindaco, per inseguire un’euforia decisionista che, però, ha ridotto i poteri del consiglio comunale, delegittimandone sempre più il ruolo.
Consentire il terzo mandato, infine, esaspererebbe ulteriormente gli effetti distorsivi dell’elezione diretta del sindaco che, se pure dettata dall’esigenza di garantire maggiore stabilità all’assise comunale, ha finito per sminuirne l’influenza depotenziandola.