Alla fine degli anni ’90 un nuovo protagonista si affacciò nell’arena politica. O, meglio, si riaffacciò. Fu Antonio Di Pietro, già noto per essere stato uno dei magistrati del pool di Mani Pulite e per aver messo sotto inchiesta quei fenomeni di corruzione che avevano caratterizzato gli ultimi anni di Prima Repubblica.
Dopo aver dismesso la toga e dopo aver avuto e rifiutato già nel 1994 proposte da Silvio Berlusconi, per entrare a far parte del suo governo, nel 1996 fece il suo definitivo ingresso in politica, accettando la nomina a ministro dei Lavori Pubblici, propostagli dal Primo Ministro Romano Prodi. Si dimise nello stesso anno, dopo la notifica di indagini sul suo conto. Indagini che si conclusero con il proscioglimento dai 27 capi d’accusa. Tornò quindi a ricoprire incarichi politici quando il senatore Pds Pino Arlacchi fu nominato vicesegretario generale delle Nazioni Unite e Massimo D’Alema, d’intesa con Prodi, gli proposero di essere il sostituto del senatore dimissionario. Le elezioni supplettive si tennero nel novembre 1997 e Di Pietro vinse contro Giuliano Ferrara per la coalizione di Silvio Berlusconi, Sandro Curzi per Rifondazione Comunista e Franco Checcacci per la Lega Nord, con il 67,8% dei voti. Fu durante il suo mandato da senatore che, nel marzo 1998, fonda il suo movimento politico: Italia dei Valori. Un nuovo protagonista della politica italiana che, sin da subito, sostenne Romano Prodi e aderì al suo progetto politico dei Democratici. Fu con i Democratici che Di Pietro venne eletto eurodeputato alle europee del ’99. Un sodalizio che terminò nel 2000, dopo che Di Pietro scelse di non votare la fiducia al nuovo governo Amato. Italia dei Valori divenne dunque un movimento autonomo che si poneva come obiettivo la valorizzazione e l’affermazione della legalità e la necessità di trasparenza amministrativa (obiettivi che saranno poi ripresi da Beppe Grillo, con cui, inizialmente, ci fu un lungo sodalizio).
L’Idv di Antonio Di Pietro fu uno dei principali partiti personali che sorsero all’indomani della cosiddetta “Seconda Repubblica”, dopo Forza Italia di Silvio Berlusconi. Un movimento fortemente incentrato sulla leadership del magistrato di “Mani Pulite” e dalla struttura gerarchica molto debole. La figura del leader Di Pietro era così forte che, nello statuto, fino al 2010, c’era una norma che attribuiva al presidente fondatore, il potere esclusivo di nominare i candidati alle elezioni.
Un partito nato dalla lotta alla corruzione che, tuttavia, proprio come la Lega Nord (accomunata da un profondo astio verso il vecchio ceto politico corrotto), conobbe al proprio interno anche episodi di malaffare. Segno che, evidentemente, il marcio che aveva infettato il vecchio sistema partitico era ben più esteso e, al contrario di quanto la narrazione populista e antipartitica aveva fatto pensare, non nasceva dai partiti, ma dalla stessa società, di cui la classe politica è uno specchio. Nella fretta di sconfiggere la “partitocrazia”, nessuno aveva seriamente riflettuto sulle cause reali che avevano provocato il diffondersi dell’illegalità in politica. Il vero problema non era affatto stata la forza dei partiti, che anzi in passato era stata una garanzia di controllo. Ma, invece, proprio la loro debolezza che, facendo venir meno le possibilità di controllo, aveva favorito il dilagare di fenomeni di corruzione che, invece, in presenza di organizzazioni forti, non sottomesse a clientele e potentati locali, erano condannati ed isolati grazie all’attività di vigilanza di una struttura gerarchica salda.
Ma torniamo all’Idv che, a Bitonto arrivò molto più tardi, nel 2007. Il 3 luglio 2010 si tenne il suo primo congresso cittadino in cui fu nominato segretario il già consigliere comunale Giuseppe Fioriello.
«Iniziamo a tracciare un nuovo percorso per la nostra Bitonto, come in una rivoluzione ghandiana: il consenso della gente contro quello degli apparati» fu il commento del segretario che, con tali parole, lasciava trasparire l’anima antipartitica e antipolitica che era propria del movimento sin dalle sue origini.
«Bitonto non ha certo bisogno di operazioni trasversali da Prima Repubblica con rimpasti in Giunta, non si può avere la pretesa di modificare nel Palazzo gli equilibri stabiliti nelle urne e quindi di un governo non scelto dagli elettori. Non è tempo di pasticci, toccherà ai cittadini decidere da chi vorranno farsi governare» disse ancora Fioriello in occasione della sua nomina.