28 ottobre 2018 – 29 ottobre 2023. Abbiamo iniziato questa rubrica ormai cinque anni fa, partendo da un aneddoto raccontato da uno storico esponente del Partito Comunista Italiano all’epoca dei fatti giovanissimo. Un aneddoto che narrava qualcosa che accadde a Bitonto, nel lontano 1963, nella “Pescara”, lo storico edificio, sede a quei tempi del Partito Comunista Italiano, così chiamato dai bitontini per via dell’antica esistenza, in quel punto, di un pozzo. Un gruppo di compagni guardava in tv una partita di calcio. Non una qualsiasi, ma il match di ritorno tra Italia e Unione Sovietica, per la qualificazione agli Europei del 1964. I russi erano in vantaggio. Ma al 60′ l’Italia ottenne un calcio di rigore che venne tirato da Sandro Mazzola. Tuttavia, le speranze degli azzurri si bloccarono tra le mani di Lev Ivanovic Jašin, il portiere sovietico.
Quella parata significò, per l’Italia, una grave sconfitta e la mancata qualificazione. Ma a quei vecchi compagni non interessava. Erano impegnati ad esultare per la parata del “Ragno Nero”. Il loro tifo era per l’Urss. Fatto, questo, che oggi potrebbe destarre stupore, come lo suscitò in quello storico esponente all’epoca giovanissimo.
Ma era un’era diversa. L’epoca d’oro dei grandi partiti di massa, quando il partito politico non era inteso come uno strumento che esaurisce la sua funzione nel momento elettorale, qualcosa per supportare la candidatura di singoli politici in occasione della campagna elettorale, ma come arma con cui condurre la battaglia politica, fattore di mobilitazione e determinazione della volontà politica. Una macchina solida, centralizzata e caratterizzata da forte gerarchia interna. Una comunità animata da forti sentimenti di appartenenza, un orizzonte in cui riconoscersi, a cui ambire, oggetto di fedeltà assoluta, caratterizzato da una visione totalizzante, un luogo da vivere “dalla culla alla bara”, per utilizzare un’espressione di Giovanni Sartori, dove discutere delle più o meno grandi questioni, con propri mezzi di informazione e luoghi di ritrovo. Soprattutto nel mondo socialista e comunista (nel mondo cattolico, invece, questa funzione è svolta dalla Chiesa e dalle organizzazioni collaterali che in essa trovano riferimento). Uno strumento per canalizzare la partecipazione dei cittadini, interpretarne i bisogni attraverso una propria chiave ideologica e rappresentarli in Parlamento, il cuore dell’ordinamento italiano, e in consiglio comunale, la massima assise cittadina.
Nel corso dei 250 appuntamenti di questa rubrica, quindi, abbiamo raccontato, settimana per settimana con pochissime eccezioni e alternando tematiche locali a questioni nazionali, la trasformazione e la crisi della politica, nazionale e locale, in 80 anni di storia italiana. Una trasformazione lenta, ma neanche tanto, se consideriamo che il lasso di tempo considerato non è neanche un secolo di storia.
Abbiamo raccontato il protagonismo dei partiti nel risollevare la democrazia dopo la dittatura e la guerra, fino al momento in cui le prime avvisaglie di crisi si manifestarono, con le proteste post-sessantotto e con la fine del cosiddetto “Trentennio glorioso”, per usare l’espressione dell’economista francese Jean Fourastiè, che indicava quel periodo quasi trenta anni, dal ’45 al ’73, caratterizzato da prosperità, crescita del Pil e dell’occupazione. Periodo che, in Italia, fu interrotto solamente dalla crisi petrolifera degli anni ’70 che pose fine al boom economico.
Seguirono le proteste di quel turbolento decennio degli anni ’70, volte a mettere in discussione qualsiasi autorità. Compresi i partiti politici, anche quelli di opposizione come il Partito Comunista Italiano. Proteste che, talvolta, sfociarono anche nell’estrema violenza, che mise a dura prova l’autorità statale e fu la causa dei fiumi di sangue versati in Italia. Sangue versato anche da un bitontino, come il giovane poliziotto Michele Tatulli, assassinato da terroristi di estrema sinistra nel gennaio del 1980. Ma non fu solo violenza. Ma anche un decennio di impegno intenso, di fermenti culturali, di entusiasmi che contagiarono anche Bitonto, vicina a quell’Università di Bari, che fu centro culturale di primissimo piano con l’Ècole Barisienne.
Abbiamo poi raccontato gli anni ’80, “l’inizio della barbarie” per usare una definizione del giornalista Paolo Morando, quando, sull’onda di una nuova egemonia neoliberista che si fece largo in tutto l’Occidente, gli italiani cercarono di vivere più leggermente, abbandonando sempre più quelle identità politiche che avevano caratterizzato la precedente storia italiana nel bene, ma anche nel male, con una violenza che, ancora nei primi anni ’80 imperversava nelle città italiane. Il che, se da un lato portò ad uno stemperamento delle tensioni sfociate nella cosiddetta “notte della Repubblica”, dall’altro provocò un imbarbarimento dei costumi culturali all’insegna dell’edonismo e una crisi politica, in realtà, già iniziata precedentemente, che, tra i primi effetti ebbe l’inizio della spirale dell’astensione in crescita ancora oggi.
Una crisi dei partiti politici inasprita sempre più e sfociata nella “grande slavina” (come la chiamò Luciano Cafagna) dei primi anni ’90 che spazzò via quei grandi soggetti politici attraverso indagini della magistratura, referendum per introdurre un sistema elettorale maggioritario
Per tentare di ovviare alla perdita di legittimità dei partiti, i politici si rifugiarono nel leaderismo, nella ricerca di capipopolo carismatici che sapessero sfruttare anche i nuovi mezzi di comunicazione di massa. A partire dalla tv, che fu centrale per l’ascesa di Berlusconi e sua della videopolitica, anticipata prima dal leaderismo di Craxi, dalla stagione dei vip in politica avviata dal suo Psi, ma anche dai talk show di conduttori come Funari e Santoro. Se il primo diede ampio spazio al leader leghista Umberto Bossi, il secondo portò in tv la piazza che protestava contro la politica corrotta, contribuendo a delegittimare un intero sistema politico e preparando la “grande slavina” già accennata.
Il successo di Berlusconi spinse la sinistra a modificare le proprie modalità di lotta politica e ad intraprendere la via dell’antiberlusconismo, che, sotto alcuni aspetti, non fu altro che uno specchio del berlusconismo, con leader carismatici a capo di partiti ormai senza radicamento territoriale, struttura solida, ma personali e fluidi dalla sopravvivenza legata a quella di capi come Vendola, Di Pietro.
Un leaderismo che riempiva il vuoto identitario provocato dall’avvento del maggioritario che, imponendo la convergenza al centro, provocava la perdita delle identità politiche che avevano caratterizzato i decenni precedenti.
Fu in quel clima che venne approvata la legge 81/93 che portò all’elezione diretta del sindaco. Legge che, forse, oggi sarebbe da rimettere in discussione, essendo tra le cause di un impoverimento della politica locale e dei dibattiti nelle aule consiliari, piene di liste civiche dall’identità indefinita, spesso luoghi oscuri di affarismo e trasformismo spudorato.
Passarono gli anni e la crisi politica aumentò sempre più. I mezzi di comunicazione iniziarono ad evolversi e venne il tempo del web e dei social network, che all’inizio furono utopisticamente visti come luogo di una partecipazione più democratica. Fu il web lo strumento utilizzato da Beppe Grillo per farsi largo nell’arena politica e per conquistarsi un seguito di attivisti convinti che il loro parere contasse davvero qualcosa sulle piattaforme telematiche di un partito che rimaneva comunque personale, leaderistico, non democratico e, come per Forza Italia, supportato da un soggetto economico privato.
Abbiamo anche raccontato l’evoluzione dei mezzi di comunicazione utilizzati dalla politica dall’epoca dell’egemonia della carta stampata alla liberalizzazione delle frequenze radiofoniche e televisive che portarono grande fermento anche nella nostra città, con il proliferare di radio e di tanti giovani che trovarono in quello strumento un nuovo spazio per manifestare le proprie istanze e far sentire la propria voce. Fino al più moderno web.
Né i vari leader, né il web e né i social network hanno invertito la crisi dei partiti politici e della democrazia. I populisti avanzano sempre più, in Italia e in tutto l’Occidente, così come l’astensionismo oggi divenuto la prima “forza politica” d’Italia. E quello che dovrebbe essere il cuore della politica italiana, il parlamento, è sempre più depotenziato a suon di decreti che ne esautorano le funzioni, di referendum che riducono i suoi membri diminuendo la sua capacità di incidere realmente sui processi decisionali.
È svanita, ormai, persino la funzione classica della politica, che è quella di elaborare una società futura, per far posto ad una politica intesa come mera governance, risoluzione dei problemi attuali, senza lungimiranti sguardi verso il futuro. Una politica che è intesa solo come governance e che, come scrisse Michel Schneider in “Big Mother, psychopathologie de la France politique”) è ormai solo una sorta di provider di servizi, un’entità che deve ascoltare le istanze del popolo, proteggerlo quasi come se fosse una madre.
Quando, per qualsiasi motivo, qualcosa va storto e qualche istanza non viene soddisfatta, che dipenda o meno da responsabilità di qualcuno, lo Stato diventa colpevole di non ascoltare i cittadini. Un meccanismo che diventa molto più evidente nelle città, nelle competizioni elettorali dei comuni, con la retorica della politica chiusa nelle stanze del potere, dei sindaci di strada e della politica sorda alle istanze dei cittadini. Con tantissimi personaggi totalmente mediocri, privi della minima cultura politica (spesso anche della minima cultura generale) che si atteggiano con presunzione a novelli Machiavelli del terzo millennio. Con la politica relegata a riparare le buche nell’asfalto, a ripulire le strade da deiezioni canine, ad organizzare l’evento più bello, senza alcuno sguardo verso orizzonti più a lungo raggio.
Non sappiamo ovviamente cosa ci riserverà il futuro, in Italia, a Bitonto e in tutto l’Occidente. Lucio Battisti direbbe che lo scopriremo solo vivendo. Nel frattempo, il nostro viaggio nella “Politica, ieri e oggi” si conclude qui.
Si ringraziano tutti coloro che, nel corso di questi cinque anni, hanno seguito gli appuntamenti settimanali, gli approfondimenti raccontati con un punto di vista, quello di chi scrive, inevitabilmente parziale, senza pretese utopistiche e illusorie di obiettività. Spesso lettori silenziosi, non generosi di like e commenti sui social, ma munifici di apprezzamenti dal vivo (che sono quelli più graditi) ma anche di critiche che, se manifestate con garbo ed educazione, senza quel dileggio che purtroppo va oggi di moda, non possono che essere strumenti di confronto e crescita.