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La Politica, ieri e oggi/Bitonto e il tardivo miracolo economico meridionale

Mentre i suoi echi si stavano spegnendo ovunque, il boom economico fece sentire, nel nostro territorio, i suoi effetti tra gli anni '60 e i '70. Ma l'ombra della crisi incombeva minacciosa

Michele Cotugno by Michele Cotugno
14 Maggio 2020
in Politica
La Politica, ieri e oggi/Bitonto e il tardivo miracolo economico meridionale
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Gli anni ’50. Anni felici per l’Italia. Furono gli anni del miracolo economico, del boom economico, che comprese anche gli anni ’60. Anni in cui il nostro paese, da poco uscito dalla Seconda Guerra Mondiale, conobbe una fortissima crescita economica e uno sviluppo industriale e tecnologico impressionante. Impressionante soprattutto se si pensa alle condizioni in cui versava negli anni immediatamente successivi al conflitto, da cui era uscito sconfitto e lacerato da una sanguinosa guerra civile.

Anche il Sud Italia, ovviamente, conobbe lo sviluppo, ma, più povero rispetto al Settentrione, quella forte crescita economica la conobbe in ritardo. In alcune aree, solo negli anni ’70, dopo che nel resto del paese quella spinta positiva già si affievoliva. Uno sviluppo a rimorchio della parte settentrionale della penisola e, per la letteratura meridionalista, subordinato agli interessi del Nord.

Mentre i suoi effetti, in generale, in Italia, cominciarono ad indebolirsi, già verso gli ultimi anni’60, il miracolo economico riuscì a dare i suoi frutti anche nelle regioni meridionali. E gli effetti si videro anche a Bitonto, che vide nascere sul proprio territorio tante attività economiche e che, da qualche anno, era stata inclusa, nella zona industriale di Bari. Un territorio che, a cavallo tra gli anni ’60 e i ’70, era uno dei centri chiave dell’industrializzazione meridionale, secondo quanto scrisse lo storico Mario Dilio sulla Gazzetta del Mezzogiorno, il 3 maggio 1970: «Bari, con la sua provincia, esporta oggi merci e prodotti per circa quaranta miliardi di lire l’anno ed importa per poco più di 23 miliardi. Il bilancio attivo di 17 miliardi di lire ha fatto balzare Bari dal 28° al 20° posto nella graduatoria delle province italiane, relativamente ai prodotti esportati. […] Il processo di industrializzazione si è sviluppato in questi anni silenziosamente, quasi di nascosto, con impianti di media portata, ma per lo più di grande specializzazione e con alta capacità di assorbimento di manodopera. Dalle fabbriche e dalle officine del barese escono ogni giorno autoveicoli industriali per uso speciale e ribaltabili, condizionatori d’aria, apparecchiature tecniche ed elettroniche di alta precisione, profilati metallici e infissi laminati a freddo, motori diesel veloci, macchine agricole e ingranaggi meccanici, pneumatici per automobili, cartoni e carta per usi industriali e commerciali, vetri e cristalli, libri e pubblicazioni varie, prodotti alimentari conservati, cavi elettrici, bevande gassate, confezioni per uomo, donna e bambini».

Dunque, anche il nostro territorio aveva subito la trasformazione dell’economia da prettamente agricola ad industriale: «Il fatto nuovo e straordinario di questi ultimi dieci anni di intenso lavoro, volto a creare un tessuto organico di industrie, è rappresentato proprio dalla modificazione della struttura merceologica dell’economia: alle olive, al vino, alle mandorle, all’olio, alle salse, prodotti di un’economia prevalentemente agricola, che vanno per il mondo con il marchio di fabbrica di Bari, si sono aggiunte le importanti voci che, in parte, abbiamo prima elencate».

Per la Gazzetta, il merito è della politica di intervento straordinario posta in essere dai governi democratici, con la creazione dell’area di sviluppo industriale di bari e la realizzazione di infrastrutture che hanno reso ricettivo e più idoneo tutto in vasto ambiente all’impianto di nuove aziende: «Una politica che è stata l’elemento determinante di una situazione che apre vasti orizzonti a Bari e alla Puglia. Nei 12 comuni dell’area di Bari (Adelfia, Bari, Bitonto, Bitritto, Capurso, Giovinazzo, Modugno, Mola, Molfetta, Noicattaro, Triggiano e Valenzano), nel periodo dal 1951 al 1968, soltanto nel settore industriale si sono registrati investimenti per nuovi impianti e per ampliamento di quelli preesistenti, per un totale di 93 miliardi e 385 milioni di lire».

Il “Da Bitonto” ebbe modo di parlare già qualche mese fa di come gli effetti del miracolo economico si fecero sentire, qui da noi, in ritardo. Lo fece nell’edizione cartacea dell’ottobre 2019, quando intervistò Franco Bastiani, storico esponente di Confartigianato Bari e membro del Consiglio della Camera di Commercio di Bari.

In quell’occasione, Bastiani ci raccontò come, grazie alla maggior apertura al credito degli istituti bancari verso le piccole e medie imprese, colonna portante dell’economia italiana e del Sud in particolare, e grazie alle cooperative di garanzia, sorsero molte imprese. Nacquero, ad esempio, laboratori tessili e, anche chi non aveva mai avuto nulla a che fare con la sartoria si poté cimentare in questa nuova avventura economica, grazie alla maggiore apertura al credito concessa dagli istituti bancari, che permetteva un accesso facilitato al credito bancario per le imprese di piccole dimensioni. Ma non dimentichiamo il settore edilizio, che ebbe molta fortuna per i cambiamenti che subì la società nei due decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Durante il boom economico la necessità di molte persone di spostarsi, per lavoro, dalla campagna alla città, unita all’incremento demografico, fu tra i fattori dello sviluppo del settore. Si dovevano costruire palazzi, quartieri, zone residenziali, per ospitare i tanti operai che si spostavano per lavorare nelle industrie nate nel boom economico.

L’accesso al credito era garantito grazie anche e soprattutto attraverso i consorzi e le cooperative di garanzia collettiva dei fidi, realtà nate per facilitare e rendere meno oneroso l’accesso al credito delle imprese di piccole dimensioni, tramite la costituzione di fondi di garanzia mutualistica che offrissero una rete di protezione sui crediti concessi alle aziende aderenti. Sorti originariamente per iniziativa spontanea di gruppi di imprenditori, questi consorzi hanno conosciuto un notevole sviluppo, proprio a partire dagli anni ‘60-’70, con lo promuovendo lo sviluppo, il miglioramento e l’ammodernamento dell’impresa artigiana. Furono sovvenzionati anche dalle regioni, nate proprio nel ’70. La Regione Puglia, ad esempio, copriva la parte restante della quota di garanzia necessaria per accedere al credito dell’istituto bancario.

Una crescita continuata anche fino agli anni ’90, che portò il tessuto economico bitontino a raggiungere circa 1300 imprese sul proprio territorio, prima che questa scia positiva si esaurisse e il numero delle attività economiche presenti sul territorio iniziasse irrimediabilmente a calare. Una fase andata avanti finché, finiti gli effetti del boom economico, iniziata una fase di decremento della popolazione, venuti meno quegli strumenti che avevano caratterizzato un accesso privilegiato al credito, a causa delle crisi economiche che negli anni si erano verificate, la premessa che era alla base di quel periodo positivo venne meno.

Un fattore molto importante, alla base della crescita di un’economia basata sulle piccole e medie imprese, fu anche lo sviluppo di un associazionismo spesso di stampo ideologico. Associazioni politicizzate di artigiani che promossero l’unione di tante botteghe e piccole aziende o di persone che esercitavano un mestiere senza la minima ufficialità, così da far sentire meglio le istanze di un intero settore e ottenere conquiste prima impensabili. Nacquero, dunque, associazioni di braccianti agricoli, coltivatori diretti, medici, insegnanti. Non erano associazioni politiche, sebbene si collegassero a partiti che meglio li rappresentavano.

Bastiani, nel suo libro “Associazioni di artigiani di ispirazione cristiana. Il congresso fondativo del 1947 a Roma”, si concentra sul mondo cattolico, che seguì la strada tracciata da Leone XIII, già nel 1891, con l’enciclica “Rerum Novarum”, guardando all’associazionismo dei lavoratori come uno strumento affrontare il tema del lavoro e per indicare al movimento operaio internazionale una strada alternativa alla lotta di classe, perseguita dal socialcomunismo e contrastata dalla dottrina cattolica. Una strada che proponesse non lotta di classe, ma confronto, collaborazione e ricerca di reciproci interessi tra mondo operaio e mondo capitalistico.

In Terra di Bari si registrò, sin dagli anni ‘50, un notevole fermento di attività e di entusiasmo. Nacquero numerose associazioni, scrive Bastiani, grazie alla percezione della loro utilità, dal momento che permettevano di accedere alla pensione, all’assistenza sanitaria, agli interventi di soccorso in caso di malattia o infortunio.

Ma, nonostante tutto, l’ombra della crisi incombeva minacciosa su quello sviluppo tardivo. Una crisi internazionale che si manifestò, in più occasioni, già a partire di primi anni ’70, con gli sconvolgimenti finanziari legati al dollaro statunitense e con la crisi petrolifera del ’73, che, facendo venir meno le premesse che avevano caratterizzato i cosiddetti “30 anni gloriosi”, pose la pietra tombale anche sul miracolo economico italiano.

Ma, di questo, parleremo più nel dettaglio domenica prossima.

 

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