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La Politica, ieri e oggi/Anni di piombo. Dalla violenza al terrorismo nero. Gli omicidi di Benny Petrone e Martino Traversa a Bari

«Fuori dalle sedi istituzionali, anche a Bitonto, senza incidenti di rilievo, vi erano le mazze da entrambe le parti. Lo chiedevano quegli anni delicatissimi e maledetti» ricorda un militante

Michele Cotugno by Michele Cotugno
13 Novembre 2020
in Politica
La Politica, ieri e oggi/Anni di piombo. Dalla violenza al terrorismo nero. Gli omicidi di Benny Petrone e Martino Traversa a Bari
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Quando si parla di anni di piombo, bisogna fare una distinzione, sia a destra che a sinistra, tra il fenomeno del terrorismo e quello delle aggressioni da parte degli esponenti di forze estremiste verso esponenti di altre realtà politiche, dal momento che non tutti i fatti di sangue, purtroppo avvenuti in quel periodo buio della nostra storia, sono da ricondurre al terrorismo, ma tanti, anzi, furono causati da un livello di scontro politico che raggiunse vette altissime di contrapposizione sociale.

Oggi parliamo della violenza a destra e del terrorismo nero, argomento già toccato nella puntata precedente, a proposito dell’esistenza di una componente golpista e fascista all’interno dello stato italiano. Una componente che tentò di sovvertire l’ordinamento con l’arma golpista e con il terrorismo, così da imprimere una svolta autoritaria. Un terrorismo fatto di attentati dinamitardi che portarono panico e morte lungo in tutto il paese, anche e soprattutto tra i civili, distinguendosi, così, dal terrorismo di sinistra che preferiva agguati mirati verso obiettivi ben precisi. Elevato fu il numero di vittime e alte furono le difficoltà delle indagini, a causa di coperture e depistaggi.

Fu un terrorismo che si sviluppò in quell’ambiente a destra del Movimento Sociale Italiano. Come è noto, sia a destra che a sinistra, tra gli anni ’60 e gli anni ’70, ci fu un brulicare di sigle che nacquero in contrapposizione a quelle forze che avrebbero dovuto, invece, rappresentare la sinistra e la destra. Forze radicali che, a destra, contestarono e si contrapposero anche allo stesso Msi, accusato di non essere abbastanza fascista, di essere servo della borghesia e dell’imperialismo statunitense (“I missini si arrendono, i fascisti no” recitava uno storico slogan di Ordine Nuovo). Fu in questo ambiente che nacquero gruppi armati eversivi che, spesso, perseguivano obiettivi, metodi e cause differenti tra loro, ma accomunate dall’anticomunismo e dall’avversione allo stato democratico. Gruppi che provarono a perseguire l’obiettivo sovversivo tramite il compromesso con alcuni settori del potere statale, tramite servizi segreti deviati, logge massoniche, manovalanza di gruppi terroristici neofascisti o di membri della criminalità organizzata (noti sono, a Roma, i legami tra estrema destra e banda della Magliana o, in Calabria, il coinvolgimento della ‘ndrangheta nella strage di Gioia Tauro).

Proprio il già citato Ordine Nuovo (il cui simbolo era una bandiera nazista che, al posto della svastica, aveva un’ascia bipenne nera) fu tra le prime organizzazioni a nascere, nel ’69, a seguito di una scissione nel Centro studi Ordine nuovo di Pino Rauti. Scissione dettata dalla contrarietà al ricongiungimento con l’Msi di Giorgio Almirante. Guidati da Clemente Graziani, gli scissionisti, quindi, fondarono Ordine Nuovo, sigla che fu dietro numerosi agguati e attentati, a partire dalla strage di piazza Fontana. Ordine nuovo e i suoi militanti furono tra i responsabili anche della strage di Pateano, in cui un’autobomba uccise tre carabinieri, della strage di piazza della Loggia a Brescia e dell’omicidio del giudice Vittorio Occorsio, colpevole di indagare sulle responsabilità dei neofascisti nei datti di Milano e di Brescia e di aver chiesto, nel ’71, lo scioglimento dell’organizzazione, in base lella legge Scelba contro la ricostituzione del partito fascista. Scioglimento che avvenne, nel ’73, costringendo gli ordinovisti alla clandestinità. Occorsio fu assassinato da una scarica di mitra, mentre si recava al lavoro. Forse, tra i moventi che portarono al suo omicidio, anche l’essere venuto in possesso di documenti che provavano i collegamenti con strutture segrete come la P2.

Ordine Nuovo fu anche additato, da accuse mai provate, di essere dietro l’attentato alla questura di Milano, fatto dal sedicente anarchico Gianfranco Bertoli (ex militante del Pci, ma in realtà informatore dei carabinieri e dei servizi segreti).

Altra sigla eversiva neofascista fu Avanguardia Nazionale, fondata da Stefano Delle Chiaie nel ’59, dopo una scissione dal Centro Studi Ordine Nuovo, proprio come il movimento politico Ordine Nuovo. E come Ordine Nuovo, anche Avanguardia Nazionale fu accusata di aver preso parte alla strategia della tensione, a partire dal suo coinvolgimento nel golpe Boghese e nella strage di Gioia Tauro. I suoi esponenti furono protagonisti degli scontri di Valle Giulia, in cui i manifestanti sia di sinistra che di destra, si scontrarono contro la polizia, nel tentativo di occupare la Facoltà di Architettura dell’Università di Roma. Il fondatore Delle Chiaie, inoltre, rifugiatosi in Spagna a seguito delle accuse per l’attentato di Piazza Fontana, ebbe contatti con l’Aginter Press, agenzia di stampa internazionale che, in realtà, nascondeva un’organizzazione sovversiva fascista. Dopo aver conosciuto il dittatore cileno Augusto Pinochet in un viaggio in Cile, insieme al generale golpista Junio Valerio Borghese, nel ’76 si trasferì nel paese sudamericano. Qui ebbe ruoli importanti sia nel regime fascista locale, sia nell’Operazione Condor, un’operazione guidata dalla Cia volta ad appoggiare regimi di estrema destra, in Sud America, e a perseguitare gli oppositori socialisti e comunisti, anche attraverso torture, omicidi e colpi di stato. Fu, quindi, accusato di essere coinvolto nel golpe Borghese e negli attentati di piazza Fontana, dell’Italicus e della stazione di Bologna. Accuse da cui, però, fu assolto per insufficienza di prove.

Dal logo simile a quello di Ordine Nuovo (al posto dell’ascia bipenne, un simbolo che riprendeva quello di una divisione dell’esercito nazista), con un inno che riprendeva un canto della Wermacht, Avanguardia Nazionale condivideva con On la volontà di abbattere l’ordinamento democratico italiano e il sistema parlamentare, anche avvalendosi di appoggi nei servizi segreti e nei grandi gruppi industriali italiani.

Lo scioglimento di Ordine Nuovo, nel ’73, oltre alla trasformazione di quest’ultimo in movimento clandestino, provocò la nascita di altre organizzazioni eversive. Una di queste fu Ordine Nero, nata dall’esperienza di un altro gruppo terroristico denominato “Squadre d’Azione Mussolini, attivo in Lombardia nei primi anni ’70. Ordine Nero fu dietro numerosi attentati in diverse città italiane, specialmente nel Nord Italia, ed ebbe un ruolo anche nell’attentato di Brescia e nell’attentato dinamitardo sul treno Italicus che, con i suoi 12 morti e 48 feriti, fu una ritorsione per lo scioglimento di Ordine Nuovo e gli arresti di individui legati ad Avanguardia Nazionale.

Nel ’77, nacquero i Nuclei Armati Rivoluzionari, tra i cui fondatori ci furono i fratelli Cristiano e Giuseppe Valerio Fioravanti (soprannominato Giusva, prima di darsi al terrorismo, da ragazzino, fu un attore e recitò, in sceneggiati televisivi, spaghetti western e commedie, accanto ad attori come Enrico Maria Salerno, Edwige Fenech, Gianfranco D’Angelo e a registi come Fellini e Marino Girolami) e Francesca Mambro. I Nar ponendosi in contrapposizione con le vecchie sigle, si fecero promotori di uno spontaneismo armato, in aperta lotta armata contro lo stato italiano, per abbattere lo stato democratico. A loro sono attribuiti diversi crimini, tra rapine, assalti a sedi del Partito Comunista, centri sociali e redazioni di giornali, e omicidi. Ben 33 furono le persone uccise dai Nar, tra cui poliziotti, carabinieri, giornalisti, civili, giudici e anche altri militanti fascisti sospettati di essere collaboratori delle forze dell’ordine. Oltre alle 85 persone vittime della strage di Bologna, che proprio a loro è attribuita, nonostante, pur ammettendo le altre colpe, abbiano sempre negato la responsabilità.

Dietro quell’orribile strage, la più cruenta di quella stagione, diverse sono state le ipotesi. Da quelle dei coinvolgimenti di estrema sinistra, terrorismo palestinese e servizi segreti occidentali (sempre respinte dall’associazione dei familiari delle vittime), al coinvolgimento della P2 di Licio Gelli e di settori deviati dello stato, che magistratura e commissioni d’inchiesta non sono mai riuscite a dimostrare.

Accanto a queste organizzazioni, sempre in quegli anni, sorsero, poi, altre sigle dedite alla lotta armata di destra, tra cui il Fronte Nazionale, coinvolto nel golpe Borghese, il Fronte Nazionale Rivoluzionario, il Movimento di Azione Rivoluzionaria, il Movimento Rivoluzionario Popolare e, infine, Terza Posizione.

Naturalmente, la violenza non era solamente quella dei terroristi. Anche tra frange più estreme dei militanti di movimenti e partiti c’era un clima di contrapposizione talmente forte da scatenare episodi tragici che, purtroppo, portarono anche a vittime. Una violenza che, come in una reazione a catena, fu dettata anche dalla volontà di rispondere alle aggressioni dell’opposta parte politica.

 «Fuori dalle sedi istituzionali, anche a Bitonto, senza incidenti di rilievo, vi erano le mazze da entrambe le parti. Lo chiedevano quegli anni delicatissimi e maledetti» riferisce uno che proprio in quegli anni iniziò la sua militanza a destra.

«In Lombardia la lotta armata fu vissuta veramente – ci racconta un altro – Io non ho mai accettato di far parte di gruppi violenti. Non ero d’accordo, ma c’è da dire che tra democristiani ed estremisti rossi c’era un fil rouge. Era un clima di pericolo. Ad esempio, non potevi andare in giro con “Il Giornale” (la testata fondata da Indro Montanelli), perché correvi rischi. Furono dieci anni in cui si visse in condizioni precarie. Non ci fu equilibrio nel giudizio, si dava la colpa agli estremisti di destra, ma si tolleravano quelli di sinistra».

Quel forte clima di contrapposizione e la violenza che ne scaturì toccarono anche Bari. Generando anche terribili tragedie. Come quella che avvenne la sera del 28 novembre ’77, quando il 18enne comunista Benedetto Petrone fu assassinato da militanti neofascisti del Movimento Sociale Italiano, nella centralissima piazza Prefettura. Tradito dai suoi problemi di deambulazione (era claudicante a causa della poliomelite) fu raggiunto, pestato con bastoni e catene e poi accoltellato a morte. Diversi neofascisti baresi furono fermati, ma, come autore di quella pugnalata fatale fu riconosciuto il 23enne Giuseppe Piccolo, del Fronte della Gioventù, già responsabile di altri pestaggi. Fu arrestato in Germania, dove uccise anche una donna per rapina, e morì suicida, qualche anno dopo, nel carcere di Spoleto.

Una tragedia che generò sgomento nel capoluogo pugliese. Nei giorni successivi, ci furono manifestazioni, cortei e anche violenti tumulti.

A testimoniare, nel processo per l’omicidio di Petrone, fu chiamato il giovane militante comunista Raffaele Licinio, segretario della sezione del Pci “Ruggiero Grieco”, ubicata nel quartiere Carrassi di Bari, lo stesso quartiere della sezione missina “Andrea Passaquindici”. Il futuro docente universitario, di origini bitontine, fu interrogato per due ore e raccontò numerosi particolari utili alle indagini della polizia e del pubblico ministero Nicola Magrone (in seguito deputato e sindaco di Modugno), che svelò anche l’esistenza di rapporti tra l’estrema destra barese, la malavita locale ed esponenti della borghesia cittadina. I particolari raccontati da Licinio andarono ad arricchire un voluminoso dossier che raccontava delle numerose aggressioni alla sede comunista, di azioni di picchettaggio e provocazioni: «Una notte fu lanciata contro la saracinesca addirittura una 600. [C’erano] assalti sistematici alle scuole dei quartieri, almeno due o tre volte alla settimana».

Nel mirino della violenza nera finirono, in effetti, anche giornalisti della Gazzetta del Mezzogiorno. La testimonianza di Licinio, quindi, fu utile a ricostruire il contesto in cui avvenne l’omicidio di Benedetto: «Il 22 dicembre ’76 una trentina di fascisti scesero dal pullman n.10 armati di catene e bastoni, si attestarono in via Re David, angolo via Celso Ulpiani, e, dopo aver scandito slogan contro lo stato e la democrazia (“Contro questo stato, il fascismo è armato”, “Con i nazisti, morte ai comunisti”), al grido “Camerati, carica!”, si lanciarono contro gli studenti che uscivano dalle vicine scuole».

Licinio, inoltre, raccontò delle sfilate provocatorie dinanzi alla sezione comunista: «Marciavano col passo dell’oca, facevano il saluto romano, ci gridavano “sporchi ebrei”, ci minacciavano di morte, scrivendo “Achtung” sulla saracinesca, in occasione di una manifestazione per il verde a Largo 2 giugno».

Purtroppo, Petrone non fu l’unica vittima della violenza nera a Bari. Pochi anni dopo, anche il 19enne Martino Traversa fu ucciso dal coetaneo Stefano Di Cagno, sempre della sezione Passaquindici. Traversa, simpatizzante missino, ma dj a “Radio Levante”, vicina alla Democrazia Cristiana, fu colpito negli studi di registrazione durante un’irruzione dei militanti di estrema destra.

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