«Cosa resterà di questi anni ’80?» si chiedeva Raffaele Riefoli, in arte Raf, in una celebre canzone edita nell’89 nell’album “Cosa resterà…”. Un brano in cui il cantante pugliese fa un resoconto di un decennio che volgeva al termine. Un decennio che, come il precedente, ha inciso profondamente nel forgiare gli anni successivi, Se pure in maniera opposta, cercando di lasciarsi alle spalle l’estrema conflittualità degli anni ’70. Sull’onda di una nuova egemonia neoliberista che si fece largo in tutto l’Occidente, gli italiani cercarono di vivere più leggermente, abbandonando sempre più quelle identità politiche che avevano caratterizzato la precedente storia italiana nel bene, ma anche nel male, con una violenza che, ancora nei primi anni ’80 imperversava nelle città italiane. Ancora all’inizio del decennio il terrorismo rosso insanguinava le strade. Anzi, proprio il sangue di un bitontino inaugurò l’avvento della nuova decade: quello di Michele Tatulli, caduto a Milano l’8 gennaio 1980 insieme a due colleghi, in quella che è ricordata come la strage di via Schievano. Mentre il terrorismo nero realizzava sanguinosi attentati. Senza contare la violenza della mafia che già all’inizio dell’anno, l’8 gennaio, aveva portato all’uccisione di Piersanti Mattarella.
Si voleva evadere da quel clima pesante. Si voleva spensieratezza, dopo anni di violenza. E quella spensieratezza fu rappresentata da nuove mode che si diffusero nella società sotto la spinta dell’imperativo consumista, nuovi programmi televisivi che nacquero in quel moltiplicarsi di reti private di cui Silvio Berlusconi, le sue reti televisive Fininvest e Milano furono protagonisti assoluti, da nuovi generi musicali meno impegnati, inneggianti alla libertà e al divertimento libero. E proprio il divertimento diventò l’imperativo assoluto, mentre le ideologie crollavano inesorabilmente e una nuova egemonia culturale neoliberista si diffondeva. E con essa un nuovo individualismo che prendeva il posto di quel senso di comunità che le identità politiche avevano precedentemente rappresentato. Mentre i tradizionali partiti politici arrancavano, annaspavano, nuove formazioni politiche occuparono il terreno perduto, a cominciare dalla Lega Nord, che, allentata la divisione tra sinistre e destre, cavalcò un malessere che, nel settentrione, identificava il Sud come un ostacolo, un freno all’economia del Nord. Nacquero formazioni che, tralasciando altre questioni, si concentravano su un solo tema, come i Verdi o il Partito Pensionati: i cosiddetti partiti monotematici o single issue parties. Proprio in quegli anni, infine, grazie alla spinta delle tante radio e tv private, si moltiplicò l’offerta di musiche, film, serie televisive, cartoni animati, format televisivi che accelerano quel processo di globalizzazione già in corso e che sono anche alla base di quella nostalgia con cui spesso si guarda, oggi, quel decennio. Nonostante, dall’altro lato, in molti vedano in quei dieci anni l’inizio di un imbarbarimento dei costumi culturali all’insegna dell’edonismo e di una crisi politica che, in realtà, era già iniziata precedentemente. “L’inizio della barbarie” è la definizione che, di quegli anni, dà il giornalista Paolo Morando.
Tutti argomenti, questi, che affronteremo più nel dettaglio nel corso dei prossimi appuntamenti.
Avvicinandoci geograficamente e politicamente al nostro territorio, gli anni ’80 si aprirono, in Puglia e in Provincia di Bari, con il ritorno alle urne, per cambiare le rispettive assemblee.
Per la Democrazia Cristiana, in città, durante la campagna elettorale dei mesi precedenti all’appuntamento elettorale, venne il candidato alle regionali Michele Bellomo, secondo cui «la competizione per il rinnovo dei consigli regionali, provinciali e comunali costituisce un importante banco di prova per un auspicabile consolidamento del rapporto di collaborazione tra Democrazia Cristiana e forze di democrazia laica e socialista, ai fini della governabilità del paese a tutti i livelli».
E venne anche Enzo Sorice, che affrontò temi come autonomie locali e crisi politica.
Per il Psi intervennero, tra gli altri, Claudio Lenoci, Bruno Serafini e l’allora ministro dei Trasporti e senatore Rino Formica. Per il Pci fu ospite il senatore Antonio Mari, mentre per il Msi, intervenne Felice Cassano, militante e dirigente della sezione bitontina.
Si votò l’8 giugno e il 9 giugno. Alle regionali la maggioranza dei consensi dei bitontini, in sintonia con il risultato generale, fu conquistata dalla Dc (35,69%), mentre, rispetto alle politiche dell’anno precedente, il Pci ebbe in forte calo (24,96%) a vantaggio dei socialisti del Psi (21,79%), che stavano conquistando consensi sull’onda della leadership di Bettino Craxi. A seguire Msi-Dn (7,73%), Psdi (5%), Pri (3,12%), Pdup (0,94%), Pli (0,77%).
La Democrazia Cristiana, dunque, riconfermò, alla massima carica pugliese, Nicola Quarta, già presidente dal ’78, quando, a seguito dei mutati equilibri seguiti alla scomparsa di Aldo Moro, entrò al posto di Nicola Rotolo. Eletto alla Camera dei Deputati nell’83, lasciò la guida della Regione ad Angelo Monfredi che, dopo soli due mesi, fu sostituito da Gennaro Trisorio Liuzzi, che tornò a ricoprire quel ruolo dopo 8 anni (era stato il primo Presidente della Regione Puglia) e completò il quinquennio.
I risultati delle provinciali confermarono quelli delle regionali. Partito più votato a Bitonto, ovviamente, fu la Democrazia Cristiana, con il 35,03%, seguito da un calante Partito Comunista che si aggiudicò il 25,23%. In netta salita il Partito Socialista con il 23,17%. A seguire Msi-Dn (6,87%), Psdi (4,84%), Pri (4,05%), Pli (0,81%).
Il risultato fu un consiglio provinciale rinnovato, come scrisse, all’indomani delle votazioni, la Gazzetta del Mezzogiorno, sottolineando come dei 36 collegi che dividevano il territorio provinciale, ben 24 erano di prima nomina. La Dc si aggiudicò 14 seggi, ma ad ottenere la carica di presidente della giunta fu il conversanese socialista Gianvito Mastroleo, che già ricopriva il ruolo dal 1976, quando successe a Pietro Mezzapesa che, nel ’76, era stato eletto al Senato della Repubblica. Mastroleo era stato nominato dopo una lunga trattativa che aveva portato alla prima presidenza socialista nella breve della Provincia di Bari. Una nomina permessa anche dal voto dei comunisti e dei repubblicani, per via di un accordo programmatico con i socialisti. E del Psi, primo dei non eletti, con 5806 voti, fu il bitontino Girolamo Larovere, che l’anno dopo sarebbe diventato sindaco di Bitonto. Non ci fu niente da fare per il giornalista Antonio Cardone, candidato tra le fila del Pli.