Abbiamo, volutamente, lasciato
scorrere quasi due settimane per non fare comunella con la turba meschina,
miserabile di politici, senza distinzione degli scranni che occupano, se di
governo locale, regionale, nazionale, o di ignoranti comuni condòmini, ancorché
paludati di allori accademici, che da giorni, armati di retorici tromboni e
grancasse, hanno fatto a gara nel “celebrare” (quale ignominiosa vergogna!),
non memorare, ciò che avvenne alle 4 del mattino del 1915.
Infatti, due colpi
di cannone, sparati dall’imponente fortezza, denominata “Forte Verena”, situata
sulla cima di un monte vicentino, con l’austria confinante, segnalarono che
l’italietta era entrata nella prima guerra mondiale, per dare il suo contributo
di sangue all’”inutile strage”, come definì il conflitto “ecumenico” (quale
paradosso: gran parte dei regnanti sui popoli belligeranti, oltre ad essere
strettamente imparentati fra di loro, come abbiamo in altra occasione
Denunciato, erano di confessione cattolica o, comunque, sia pur all’anagrafe,
cristiana!) il papa di roma, benedetto xv.
Intanto, perché l’aggettivo
“inutile” preposto a “strage”?
Ci sono, ci sono state, forse, stragi “utili”?
E
quando, come, per quali motivazioni le stragi sarebbero state, sarebbero
“utili”?
Non v’è dubbio alcuno che l’improvvido aggettivo “inutile”, uscito
dalla penna del capo della chiesa cattolica, fu un “lapsus”, un suo errore
involontario: il suo inconscio non avrebbe potuto tollerare che egli si
dimenticasse delle stragi di belligeranti in campi avversi, utili alla sua
istituzione, quando i papi invocavano principi e imperatori alle armi in più di
una “crociata” per la liberazione del “santo sepolcro”; quando i papi
comandavano i massacri di altri cristiani nelle crociate contro i catari e gli
albigesi; quando, i papi, temendo che qualche “malintenzionato” volesse
attentare al politico “status quo ante”,
provando, militarmente, a condurre sotto un unico scettro lo stivale disunito,
parcellizzato in tanti stati, staterelli, regnucoli, e ducatocoli, mettendo in
discussione il “bubbone cancerogeno”,
come lo Definiva Machiavelli, del loro potere temporale su gran parte
dell’italietta centrale, peroravano la cruenta elemosina dell’intervento di
eserciti stranieri nella terra, secondo il Leopardi della Canzone “All’Italia”,
che “…or fatta inerme, /nuda la fronte e nudo il petto mostra”.
Né va
sottaciuta la simpatia, giammai sottintesa, filoaustriaca del papato e delle
preoccupazioni della curia vaticana per il decadente credito degli asburgo alla
guida dell’impero austro – ungarico, che un esito non positivo di una guerra
alle porte avrebbe, esizialmente, scalfito, irrimediabilmente, come avvenne. Il
primo agosto del 1917 benedetto xv inviò una “Nota di pace” ai capi dei popoli
belligeranti che suscitò sia consensi: i socialisti consentirono ai contenuti
della “Nota” in quanto essi recuperavano le loro proposte proclamate nel
convegno di Zimmerwald (“doversi concludere la pace senza annessioni e
indennità di guerra”), che dissensi: fortemente, critiche furono le
contestazioni del “Corriere della Sera”; di cadorna che ritenne la “Nota” una
pugnalata alla schiena dell’esercito italiano e proibì di farla circolare tra
le truppe; di mussolini che ritenne la “Nota” uno stimolo al disfattismo, alla disobbedienza, al
tradimento.
A Giudizio di G. Lehner, invece, la ”Nota”, al di là di un
“pacifismo generico”, di maniera, curiale, Aggiungiamo NOI, rivelava assilli
conservatori, quindi, non sovversivi, e papali ansie, inquietudini non per la
sorte, ad esempio, dei circa tre milioni di uomini mobilitati per formare
l’esercito italiettino nel 1914, dei quali il 41% erano contadini, soprattutto,
meridionali e isolani, i più numerosi tra i soldati, ma per la rivoluzione
russa che aveva spazzato via l’“ancien régime” zarista nell’europa orientale e
per le serpeggianti manifestazioni di malcontento nel proletariato europeo.
Ecco, allora, l’angoscioso interrogativo di benedetto, che è il punto,
ideologicamente, qualificante della “Nota”: se le borghesie europee spingono i
rispettivi stati alla corsa all’accaparramento di nuovi mercati, attraverso guerre fratricide, la tradizionale egemonia
delle classi dirigenti borghesi in europa non corre il rischio di essere
spazzata via dai sommovimenti sociali dal basso del proletariato, come è
avvenuto in russia?
“E l’Europa, così gloriosa e fiorente, correrà, quasi
travolta da una follia universale, all’abisso, incontro a un vero e proprio
suicidio?…Siamo animati dalla cara e soave speranza… di giungere così quanto
prima alla cessazione di questa lotta tremenda. La quale, ogni giorno più,
apparisce inutile strage”.
Si può, a questo punto, comprendere ché “inutile”
era la strage!
Ogni parola che esce dalla smaliziata diplomazia vaticana, mai,
è pronunciata, scritta, invano: la
strage era “inutile” ché ciò che non fosse stato, non fosse acquisito
attraverso frenetici accordi tra le cancellerie, le diplomazie europee, avrebbe
potuto determinare la morte di sansone (la borghesia europea) con tutti i
filistei (le singole borghesie nazionali che, in competizione cruenta tra di
loro, attentavano alla loro supremazia
transazionale sotto il cui protettivo ombrello esse avrebbero dovuto in armonia
fare affari e arricchirsi).
Per Riassumere: quale il ruolo del clero cattolico
italiettino nella “inutile strage”?
Nonostante il suo frale ”pacifismo”
tendesse ad indicare alle tradizionali classi dirigenti borghesi europee il
metodo della concordia per salvare egemonia e i loro interessi rilevanti,
benedetto xv rimase isolato (Bisogna, comunque, per Amore del Vero, Dire che il
papa giacomo della chiesa avviò una meritoria opera assistenziale nei confronti
dei prigionieri di guerra italiani, in 100 mila morti in mano al nemico, soprattutto,
collegandoli con le proprie famiglie.
Fu siffatto papale intervento l’unico
conforto che lenì le sofferenze dei
nostri soldati, fatti prigioni, quando le istituzioni e il supremo comando
militare italiettini decisero di abbandonarli al loro destino, considerandoli
disertori) tra la gerarchia ecclesiastica italiettina, apertamente, interventista.
Blasfemo dei Princìpi Evangelici fu il compito che si assunsero i cappellani
militari. Nelle trincee v’era inopia di cibo e di quanto potesse rendere, umanamente,
più sopportabile la vita in esse, ”sed” erano invase, inondate da scartoffie di
propaganda devozionale che magnificavano
l’eroico coraggio di coloro che s’erano sacrificati per la patria (sì, la
patria del re, degli squali della grande industria, dell’interminato capitale
finanziario) e rappresentavano un gesù accogliente in paradiso i morti in
battaglia, incitando coloro che erano, ancora per poco, vivi, i ”morituri”, ad
andare all’attacco.
L’andare all’attacco
era, infatti, rispondente alla militare strategia fallimentare di cadorna che
destinava al macello e all’annientamento certo i soldati, i fanti coinvolti,
ripetutamente, in vani assalti alle trincee nemiche che dalle nuove armi, di
cui il capo di stato maggiore italiettino non aveva sufficiente contezza,
potevano essere, efficacemente, difese.
Di più, i cappellani militari
benedicevano i gagliardetti e le truppe in procinto di essere “accolte in
paradiso”; se, poi, la transumanza “in più spirabil aere” veniva rinviata, i
consacrati intonavamo il “Te Deum” di ringraziamento non per la transumanza
rinviata, ma per la strage dei nemici che, raramente, i militi in grigioverde
erano in grado di perpetrare. Singolare figuro di addetto a suggerire agli
ignari coscritti la rassegnazione alla morte fu agostino gemelli, medico – psicologo, ascoltato consulente di
cadorna.
Come psicologo, egli si propose di allontanare dai soldati la paura
della morte, che li attendeva, grazie, si fa per dire, agli inutili assalti, da
cadorna ordinati, alle trincee nemiche e, pertanto, di debellare nel loro animo
l’umano resistere ad essa. Morire in guerra, ammoniva gemelli, significava
“condividere la missione salvifica di Cristo”, significava porre la fede al
servizio di una causa di morte. La forza del cannone era la catechesi del
soldato, la sola in grado di convertirlo.
La rinascita cristiana poteva,
unicamente, proporsi con la guerra. Nel suo libercolo: ”Il nostro soldato”, il
gemelli tanto di aberrante scriveva: “Per noi che rimaniamo, per le spose, per
le madri, per i figli, per le sorelle,… per quanti siano in lutto in queste
giornate di prova, la morte dei nostri giovani è ragione di conforto. Essi
hanno accettato di morire, perché hanno sentito la bellezza cristiana del
sacrificio per la patria…hanno fatto risuonare nella morte questa dolce voce
della speranza che consola, che rende forti, che sprona al sacrificio, che ci
fa degni insomma dell’ora della prova che oggi viviamo”.
Orribile, tronfia,
retorica melassa di menzogne!
La patria?
Ecco lo sterco che essa conteneva nel suo ventre: vittorio emanuele III che,
temendo sommovimenti contro l’istituzione monarchica, da lunga pezza in calo,
ormai, di prestigio, se, mai, ne aveva avuto, s’inventò il “patto di londra”
del 26 aprile 1915, firmato in gran segreto dal ministro degli esteri sonnino,
all’insaputa del parlamento, con i rappresentanti della “Triplice Intesa”.
Fu
un colpo di stato che, per le inderogabili necessità della guerra alla quale l’italietta
avrebbe partecipato a fianco delle potenze dell’”Intesa”, sospendeva le non
numerose guarentigie costituzionali dello “Statuto Albertino” e consegnava
tutto il potere nelle mani del re e del governo da lui designato; la
corrottissima, incompetente, a cominciare dal suo capo, cadorna, casta
militare; gli avvoltoi della grande finanza e della grande industria.
L’entrata
in guerra da parte dell’italietta fu “un grande affare” per i gruppi
industriali italiettini che ha alimentato
la “grande truffa” delle spese di guerra, da mussolini, salito al potere,
occultata.
Un arricchimento smisurato fatto sulla pelle di migliaia di giovani
italiani mandati a morire. Ad esempio, Assevera lo Storico Tanzarella: ”Fatture
pagate per materiali mai consegnati o solo in parte consegnati. La guerra costò
in alcuni settori il 400% in più del dovuto con un danno irreparabile per le
casse dello stato. La cattiva qualità delle forniture provocò disagi
gravissimi, dagli armamenti, alle stoffe delle divise che avide di acqua
ghiacciavano negli inverni in trincea, alle scarpe che duravano in media da 4 giorni
a due mesi”. Ecc., ecc., ecc!
Infine, qualche numero ci Fornisce il Giornalista Luca kocci, Sperando che faccia
a coloro che non sanno Comprendere l’enormità dell’immane tragedia: ”Durante i
5 anni di guerra, su un totale di 74 milioni di soldati mobilitati dai paesi
belligeranti, vi furono complessivamente 10 milioni di morti (e dispersi), 21
milioni di feriti , tra cui 8 milioni di mutilati e invalidi, 8 milioni di
prigionieri su tutti i fronti. Per quanto riguarda l’Italia, si contano 650mila
morti, di cui 400 mila in guerra, 100mila in prigionia, i restanti a causa di
malattie contratte in guerra. Inoltre, 500mila ritorneranno dal fronte
mutilati, invalidi, gravemente feriti e 40mila con gravi patologie psichiche
contratte dopo anni di trincea”.
Giovani, o poco più che adolescenti, che per
la patria morirono e non vissero assai!