Nel 2012 è stata la Legge Fornero, poi
modificata dal ministro Giovannini dell’era Letta. Nel 2014 è stata la volta
del Decreto Poletti, prima parte del Jobs Act.
In questi
ultimi anni la riforma del lavoro è stata una costante nelle agende politiche.
Ma come
cambia il mondo del lavoro con il nuovo testo firmato dall’esecutivo Renzi?
Per
rispondere a questa domanda ieri nel Torrione Angioino si è tenuto il dibattito“Jobs
Act: come cambia il mondo del lavoro”, organizzato dall’associazione “Progresso
Democratico” e dall’associazione “Progetto Metropolitano”.
«Un incontro per far chiarezza sulle novità nel
mondo del lavoro», come ha spiegato
il prof. Antonio Ciuffreda, che ha
trovato l’interesse del Comune di
Bitonto e in particolare dell’assessore Michele Daucelli.
«La nostra classe dirigente pensa che le riforme
delle politiche del lavoro possano incidere sull’occupazione. In realtà gli
investimenti pubblici o privati possono permettere le assunzioni» ha commentato subito Vito Sandro Leccese, professore ordinario di Diritto del Lavoro
della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari.
La
riforma interviene su mansioni, controlli e licenziamenti, interviene sui
centri per l’impiego e modifica le tipologie contrattuali.
Ed è
proprio questo l’aspetto più importante. Il decreto Poletti ha introdotto
infatti la possibilità di stipulare contratti senza causale per un tempo
inferiore ai 36 mesi. Tuttavia con un accordo collettivo è possibile allungarne
la durata, questa volta giustificando la decisione. Inoltre ha reso possibile
il licenziamento senza giusta causa. I neoassunti possono essere dunque
licenziati senza dover essere reintegrati.
«Anche in altri paesi europei funziona così» ha specificato il professor Leccese.
«La riforma è appena entrata in vigore, ma si dice
che gli effetti siano già evidenti. È così?» ha chiesto il moderatore Piero
Ricci, giornalista de “La Repubblica”.
«I contratti a tempo determinato si sono
trasformati in indeterminati, grazie al contributo promesso alle aziende per
l’assunzione e per la facilità del licenziamento» è stata la risposta di Leccese che ha sottolineato «nessuna riforma del diritto o del mercato
creerà posti di lavoro».
Scettico
anche l’ingegner Vittorio Bonerba,
presidente dell’Aidp Puglia. «Stiamo seguendo con interesse le riforme del Jobs Act e non cerchiamo
lo scontro con i sindacati perché il nostro obiettivo è soddisfare i lavoratori
e permettere loro di avere guadagno, ma per questo è necessario diminuire il
cuneo fiscale che colpisce le aziende».
«Lo statuto dei lavoratori è spesso una chimera
soprattutto per i lavoratori del Sud. Pensiamo al mondo agricolo» afferma il dott. Giuseppe
Gesmundo, segretario generale C.G.I.L. Bari. «Volevano una maggiore flessibilità, nonostante esistessero contratti a
chiamata e mille tipi di contratti. Era davvero necessario questo strumento? La
criminalità spesso si nasconde nelle gare di appalto. Perché lo Stato non
interviene su questo?».
Sulla
stessa lunghezza d’onda anche Emanuele
Sannicandro: «Per il Sud, l’articolo
18 è inapplicato e inapplicabile, dato che la maggior parte delle aziende non
supera i 10 dipendenti». L’auspicio è dunque che lo Stato operi per ridare
linfa alle imprese.
Nel
frattempo qualche buona notizia viene dal sindaco
Michele Abbaticchio. Dopo i saluti istituzionali e i saluti all’assessore regionale Giovanni Giannini,
presente al dibattito, ha infatti comunicato che «il prossimo Piano strategico metropolitano intende puntare sulla
ricerca del talento. Non è importante l’età anagrafica, ma la capacità di
rinnovare».