Nei giorni scorsi s’è tenuta, presso
il foyer del teatro T.Traetta, una prova aperta “Once upon a
time”, atto conclusivo del laboratorio teatrale a cura di” Fatti
d’arte” su progetto di “Officine Culturali”.
Nel definirlo unico sarebbe più che appropriato perché
il termine racchiude tutto ciò che di buono uno desidera infilarci.
Personalmente riempirei quel contenitore con una serie
di termini che, a buon diritto, vanno nella direzione dell’osannare e del gratificare
tutti coloro che sono stati coinvolti nel progetto il cui tema ideale poteva
benissimo essere “Liberazione”.
Tutto incentrato sulla libera creatività dei
personaggi, lo spettacolo sin dalle sue prime battute ha non solo catturato
l’attenzione dei presenti ma li ha coinvolti emotivamente, creando in ognuno
una sorta di ansia d’attesa per tutto ciò che poteva venir fuori da quelle
anime trepidanti, desiderose di librarsi nell’aria come mongolfiere, spinte da
un “vomito” liberatorio, gridato al mondo e da tempo “in panchina” in attesa
del momento opportuno.
E quale opportunità migliore di uno spettacolo
teatrale in cui gli spettatori non sono gente comune ma persone a cui si è
molto legati, con cui si condivide parte della propria vita, ma solo una parte!
Chi ha voluto cogliere ha colto, chi non ha voluto
farlo o per rifiuto o per altro, non l’ha fatto. Ma non importa.
Ciò che più conta è che uno spettacolo è stato il
mezzo per raccontare, anche in maniera rabbiosa, le proprie insicurezze ma anche
certezze, i malumori, le insoddisfazioni, i tormenti, le manie, i sogni, i
desideri, in una sola parola, tutto ciò che, per un motivo o per altro, era
gelosamente e spesso rabbiosamente custodito nel proprio cuore.
L’adolescenza e la maturità insieme, fatto non solito,
che mettevano a nudo le proprie anime con una tale spontaneità ed eleganza,
nonché con la fierezza dei giusti, da non indurre alcuno, per una volta almeno,
ad alcun commento su quei testi che raccontavano i segreti e le intimità di chi
recitava senza indossare alcuna maschera. Contrariamente, sarebbe stato del
tutto fuori luogo.
E l’emozione si toccava con mano in quell’ambiente
angusto per l’occasione ma nel contempo accogliente, intimo, direi ideale per
un “teatro dell’anima”.
D’altronde come non commuoversi davanti ad un’Io che
si denuda, che trova la forza e il coraggio di raccontare se stesso, che rivela
ciò che sino ad allora ha gelosamente custodito nel suo forziere, ben conscio
di esporsi al giudizio di chi non si è mai guardato allo specchio!
Raccontare, divertendosi. E’ ciò che si leggeva sui
loro volti apparentemente rilassati, sui loro visi sorridenti, sui loro corpi
sinuosi in continuo movimento, nei loro gesti eleganti e spontanei, nella loro
voce possente e decisa.
La bontà di uno spettacolo sta in ciò che, attraverso
la professionalità dei suoi interpreti, riesce a trasmettere ai presenti, di
quanto riesce a coinvolgere gli spettatori. L’impressione è che tutti i
presenti siano stati, come lo scrivente, catturati prima e schiacciati poi, da
quel rullo compressore che è stato lo spettacolo nella sua interezza.
Per usare una terminologia cara ai bambini, semplice e
nel contempo efficace, ciò che si è presentato ai miei occhi quella sera è
stato semplicemente bello, bello, bello. Ergo: un’esperienza da ripetere,
ripetere, ancora ripetere.