TU NON SAI
Sulle orme di Alda Merini
Una data che è un giorno, ma dovrebbe essere tutti i giorni: 29 marzo 2015, teatro Tommaso Traetta, la regista Cecilia Maggio, titolare
della compagnia “attoREmatto”, porta in
scena una sua nuova creazione: “Tu non
sai”.
A dare vita a questo suo nuovo lavoro sei innamorati della superba
arte della recitazione che fa del teatro il mezzo più intrigante per
emozionarsi: Annamaria Antonino, Milena Achille, Fabiola Aresta, Dana Marino, Francesco
Mitolo, Maria Sicolo.
Soltanto sei attori, sufficienti per sortire l’effetto
desiderato: catturare l’attenzione dell’uditorio, immergerlo nel tema che si
porta in scena, stabilire una sorta di feeling tra attori e pubblico, affinchè
si senta parte integrante del tutto, direttamente coinvolto in certe dinamiche
emozionali che temporaneamente si sottraggono dal contesto reale, per farlo
lievitare come una piuma che si lascia cullare adagiata ai leggeri strati di
aria.
E’ questa la magia di un teatro fatto bene. Non bastano i
normali canali della comunicazione che si mettono in campo per dialogare con il
pubblico e di cui il teatro si serve: parole, musica, luci, mimica, gesti, ma è
necessario di più, molto di più. E’ necessario che chi è sulla scena spinga la
platea, attraverso la recitazione, ad una azione empatica che lo coinvolga
direttamente, che lo faccia divenire protagonista, oltre che spettatore, della
storia; vivere in diretta e non in modo virtuale, ma reale, quei sentimenti di
cui si vuol fare conoscere l’esistenza con tutte le sue variabili, le sue
sfumature. Quelle stesse emozioni che l’attore, per quanto nella parte, non
avverte, non vive direttamente, perché la sua è soltanto finzione, il suo è
solo lavoro. L’attore finge, lo spettatore è portato a viverle realmente.
Anche un non vedente avrebbe colto, percepito quelle
sensazioni, anche le più larvali, che si trasfiguravano in emozioni, in
turbamenti dell’anima, evoluzione necessaria per future riflessioni. Questo
perché per certi tratti era più efficace chiudere gli occhi ed ascoltare parole
e suoni che, scandite secondo un ritmo ed una irruenza efficace, facevano
breccia, non di rado lacerandolo, nel cuore di tutti coloro che pongono la
dignità umana come valore assoluto.
Questo è il miracolo di uno spettacolo degno di essere
considerato, di essere visto e questo è stato “Tu non sai”.
Non è soltanto l’inizio di una poesia della poetessa Alda
Nerini, ma per la circostanza, poteva essere anche l’inizio di alcuni frammenti
della sua vita , legati alla sua difficile e travagliata storia, costellata da
quella sofferenza dell’anima che giammai l’ha abbandonata, frutto di lunghi
periodi trascorsi, forzatamente, in manicomio.
“Tu non sai” quanto il disturbo mentale abbia fatto paura…
“Tu non sai” dei manicomi-lager, fosse comuni in cui
venivano emarginati i “matti”…
“Tu non sai” cosa volesse dire essere derubati,
saccheggiati, violentati nel corpo e nello spirito…
“Tu non sai”…
Una poetessa e il manicomio, due realtà che si incrociano,
si incastrano, per uno sberleffo di cattivo gusto di un destino avverso, ma che
hanno fatto parte integrante della società italiana di un tempo non molto
lontana, di cui, in parte, non andare fieri, se non fosse per la
straordinarietà di una donna che ha saputo trarre dal male tutto il bene , come
la scena in parte ha messo in luce, e i suoi versi, tratti dalla sua prima
opera in prosa “L’altra verità-diario di una diversa”, esplicitano chiaramente:
“Io la vita l’ho goduta tutta…perché mi piace anche l’inferno della vita…per me
la vita è stata bella perché l’ho pagata cara”.
Grazie Cecilia per aver dato a tutti l’opportunità di
cogliere spunti per varie riflessioni su alcuni tasselli che insieme modellano
la vita di ogni singolo individuo: l’essenzialità delle relazioni umane,
l’importanza della poesia che ti sostiene sempre e comunque, la fede nella
possibilità di un futuro migliore, la necessità di credere nell’amore anche se,
come la Merini, non si avrà mai, e tutto ciò che ogni spettatore avrà voluto
cogliere dalla rappresentazione.
A parte, ovviamente, la possibilità di un lavoro di ricerca ed
approfondimento offerta a coloro, specialmente i più giovani, che dell’ ‘’operaia
di pensiero” e dei manicomi avevano una conoscenza circoscritta.
Anche questo vuol dire fare cultura.
Gli applausi sono stati ben meritati, anche perché, a detta
della Merini “anche la follia merita i suoi applausi”.
Un grazie anche al lavoro occulto di chi non appare sulla
scena, ma contribuisce alla realizzazione e all’esito felice di una
rappresentazione: Savino Valerio autore delle musiche, Annamaria Polignanocostumista, Sabina Cipriani responsabile responsabile del make up, e Milena
Torricelli segretaria di produzione.