Bitontino, 25 anni.
Laurea triennale in Scienze Biotecnologiche. Laurea Specialistica non più conseguita, per difficoltà nel pagare la retta universitaria.
E’ in breve il curriculum vitae di Vito, che qualche giorno fa ha raccontato la sua storia nelle pagine locali del quotidiano Repubblica.
Una storia come tante, troppe, di ragazzi che vogliono lavorare, guadagnarsi da vivere, ma nonostante una laurea conseguita, non trovano che inutili lavoretti massacranti, sottopagati e a nero.
“Ho mollato la specialistica perché non riuscivo più a pagare le tasse” racconta Vito al redattore di Repubblica.
Dopo l’abbandono degli studi il giovane compaesano ha pensato bene di iniziare a lavorare, per guadagnare un po’ di soldi, per avere una propria autonomia economica. Il lavoro trovato è quello di bracciante agricolo. Ma non tutto va come sperato.
L’impiego nelle campagne, infatti, dura solo un anno. Il giovane Vito non regge oltre: “Non solo perché è un lavoro che ti spezza la schiena. Mi ero stancato di ricevere due soldi e pure a nero”.
Dunque, una situazione di vero e proprio sfruttamento è quella denunciata da Vito, dovuta al fatto che nel settore “c’è una grande offerta di manodopera e, di conseguenza, i padroni si sentono liberi di fare quello che vogliono”.
Dopo l’abbandono di questo lavoro, quindi, per Vito inizia un lungo periodo nel quale, a parte lavoretti precari, come il cameriere nei pub, a 25 euro a serata, per sei o sette ore di lavoro giornaliere, non trova altro.
E allora perché non tentare di realizzare i propri sogni e aprire un’azienda agricola, utilizzando i terreni del padre? Facile a dirsi, ma molto più difficile a realizzarsi: “Il problema è che sono poco estesi e quindi insufficienti ad assicurare anche un reddito minimo”.
Nella testa di Vito ricomincia a balenare l’idea di riaprire i libri e completare l’università, prendendo la laurea specialistica. Ma per farlo è necessario trovare dei soldi.
Riprendere l’università per trovare lavoro lontano da qui, al Nord, o persino fuori dai confini italiani: “Qui le porte delle aziende pubbliche sono serrate. E nei centri di ricerca lavorano quarantenni precari. Figuriamoci se possono esserci spazi per me”.
Non resta, dunque, per Vito che tentare la trafila dei curricula da inviare alle aziende private, nella speranza che qualcuno risponda: “Ci ho già provato, ma finora non ho avuto successo”.
Una storia come tante, quella raccontata da Repubblica. Sono tanti infatti i ragazzi desiderosi di darsi da fare, studiando per anni, facendo sacrifici economici, nella speranza che un domani possano essere ricompensati da un lavoro che soddisfi le proprie ambizioni o, almeno, permetta una vita dignitosa.
Ragazzi che magari vogliono anche non essere costretti ad emigrare, lasciando i propri affetti, ma vogliono lavorare e,magari, contribuire a far crescere il proprio territorio.
E invece trovano il deserto. Un deserto fatto di porte chiuse, curricula a cui non segue alcuna risposta, di proposte di lavoro che chiamare schiavitù è poco, di realtà dove la paga è misera e perennemente in ritardo, sempre se arriva. Magari anche a nero, con l’impossibilità di vedersi riconosciuti anni di lavoro a fini contributivi.
Il tutto mentre altrove si pensa ad abbassare ancora di più le tutele per i lavoratori.