– “Sai da cosa comincio a trucidare i corpi dopo che uccido
una vittima?”– “No…”
– “Dagli occhi…”
– “Hai ragione, gli occhi riflettono la personalità. Gli
assassini non sopportano gli occhi che li guardano”
Gli occhi, scrigni di verità, bugie,
immagini di velata realtà, smentita dalle parole incatenate.
Laura, psicologa
bella, dal corpo perfetto, viene rapita da un pazzo e condotta in un vecchio
cinema abbandonato.
Legata, imbavagliata, si ritrova
dinanzi un’immagine, un video racconto di un omicidio.
Il primo. Una anziana signora, sottile,
fragile, morta per strangolamento.
L’identikit dell’assassino è preciso: Roberto, laureato in filosofia, funzionario
del Ministero dell’Agricoltura, divorziato dopo due anni di matrimonio.
“Sono passate otto ore e non sento rimorsi o sensi di
colpa. Solo una sensazione di fame”.
L’ansia cresce, assieme alle vittime
che si moltiplicano mese dopo mese.
Di-ciot-to. Una al
mese, ogni 19, scelta con precisione
e calcolo.
Via bavagli, catene, legacci.
Claudia Pandolfi, nei
panni di Laura, prende finalmente parola e si rivela. Affermata psicologa, è
una donna forte con una sola debolezza: essere l’ex moglie di Francesco Montanari, Roberto.
Il dialogo si fa intenso,
emozionante, ricco di equivoci lessicali.
Le affermazioni, le pa-ro-le,
diventano piccole pillole di verità nascoste e subito dopo sbugiardate.
La loro storia cominciò proprio a
teatro, l’affascinante e bravissima Laura era la protagonista principale che
per capriccio s’innamorò di un ragazzo che stava sempre in un angolo. Il tipico
ragazzo che è impegnato nel sociale e vive in funzione degli ultimi.
Il matrimonio avvenuto il 19 agosto 2011, la felicità e la
verità. Quella dell’impegno sociale per riempire solo un grave vuoto, una
solitudine. Il divorzio arriva subito dopo davanti a nuove vere bugie costruite
con l’avvocato per celare, ancora una volta la realtà della narrazione.
I ruoli si ribaltano così la Pandolfi
sferza Montanari e il tono tragico si fa a tratti divertente: accuse e bagarre diventano
analisi sociologica e d’indagine sulla fisicità e la vita di coppia“che non si riduce ad un paio di contorsioni
sessuali”.
Così, la coppia si riscopre
incatenata come le parole. In un bacio.
Ma la maestria del riadattamento di Pino Tierno al testo di Jordi Galceran e la regia di Luciano Melchionna permettono di
mantenere gli spettatori del Teatro Traetta a metà tra il riso e il pianto.
È questa la magia delle “Parole incatenate”.
IncanTOglienDOloREspiROtonDi….
Di-cian-no-ve, come
le vittime.