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Home » “Musica, che storia!”, La “Controrchestra” racconta la favola delle note per Progetto Continenti

“Musica, che storia!”, La “Controrchestra” racconta la favola delle note per Progetto Continenti

Tocca agli artisti, a chi sa maneggiare con cura la fragile penna dei sentimenti, creare la vita

Viviana Minervini by Viviana Minervini
24 Febbraio 2014
in Cultura e Spettacolo
“Musica, che storia!”, La “Controrchestra” racconta la favola delle note per Progetto Continenti
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Un percorso musicale dagli esordi
della musica leggera di Domenico Modugno con “Volare” fino ai giorni nostri proprio mentre, sul palco dell’Ariston, Arisa veniva incoronata reginetta della musica di questo 2014. 

La “Controrchestra Big Band”, guidata dal Maestro Vito Vittorio Desantis, sabato sera nell’Auditorium “A. E. Degennaro”, ha fatto sognare e tornare
indietro nel tempo i numerosissimi presenti per sostenere la ONLUS e ONG Progetto Continenti.

Si è cantata la rivoluzione di Luigi Tenco e la repressione della
società dedita al consumismo narrata dalla “Bocca
di rosa
” di Fabrizio de Andrè.

La scalata si fa forte, assieme al sax
di Dino Degennaro, alla tromba di Michele
Nicolaio
e al trombone di Gaetano
Lillo
, con Enzo Iannacci e la sua “Vengo anch’io”, racconto di
uomini emarginati e lontani dalle speranze di un cambiamento di fine anni ’50.

E, in un momento in cui molti si
dedicavano o, peggio, si vendevano alla politica, c’era chi ne restava lontano
traghettando la musica nel modernismo, sognando ancora con “Pensieri e parole” di Lucio
Battisti
.

S’arriva al 1978 con “L’anno che verrà” di Lucio Dalla, segno di luce e speranza
per chi l’aveva persa.

Così, nonostante la morte di Aldo
Moro, quella di Peppino Impastato, gli anni bui, l’imperativo di continuare a
sognare arriva da Antonello Venditti con “Bomba o non bomba” e il suono
della batteria di Giacomo Denicolo.

Gli anni ’80 sono quelli dove “il trasformismo era diventato un’esigenza”e la banda di Ivano Fossati continuava imperterrito a cantare il suo rock e la voce di Michelangelo Aresta e Loredana
Ruggiero
si facevano spazio tra il pubblico bitontino.

Arriva il primo album italiano che
vende più di cento milioni di copie che risveglia nella borghesia qualunquista
nuove mire filosofiche tra “gesuiti ed euclidei” nel centro di gravità
permanente di Franco Battiato.

I giovani sessantottini avevano
perso, sconfitti dalla storia che passava.

Restava, custodita nel cuore, solo la
speranza di poter cambiare il mondo: Francesco
De Gregori
ricorda che un uomo rimane grande anche se sbaglia un calcio di
rigore perché “un giocatore lo vedi dal
coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”.

La generazione successiva si ritrova
senza ideali.

Si rifiuta ogni restrizione politica
per restare liberi perché quello che gli autori facevano erano “solo canzonette”
insieme ad Edoardo Bennato.

Giunge, così, alle porte il nuovo
millennio e le chitarre di Emanuele
Ercole
e Francesco Ruggero assieme al basso elettrico di Antonello Grilli si fanno tonanti.

Giovani poeti si scrollano di dosso un passato
malinconico che s’apre ad una vita che sa di “Vento d’estate” con Nicolò Fabi.

Alle tastiere di Vito Vacca e al clarinetto di Benito
Vitariello
si aggiunge un tempo di meditazione con “Maggese” di Cesare Cremonini.

“Non credere in nulla è altrettanto
difficile ed impegnativo
quanto credere”,
spiegò così Max Gazzè sul palco di Sanremo lo scorso anno la sua “Sotto
casa”.

“Cominciare a credere in un
cambiamento è esso stesso un cambiamento”
 conclude la voce recitante di Lisangela Sgobba.

Tocca agli
artisti, a chi sa maneggiare con cura la fragile penna dei sentimenti, creare
la vita.

Perché è il cuore l’unica cosa che conta. 

Tags: bitontomusicasanremoteatro
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