E poi, in una sera fatata di novembre, è
arrivata lei, Masuko Yoshitake.
Più facile contemplarla che pronunciarne il nome.
Vestita d’argento
come una farfalla, che si lasci dipingere le ali dalla luce delle stelle, ha
preso a sbattere dolcemente le sue braccia, molto simili ad ali leggere, sull’ebano e l’avorio d’un austero pianoforte.
Ed è
stato sublime incanto nel breve cielo del Teatro Traetta.
“Non c’è spazio manco per uno spillo“, la felicità bambina di Vito Clemente, direttore d’orchestra di fama internazionale.
Eccola, la pianista. Gli occhi
chiusi, quasi cercasse ispirazione da Qualcuno lassù, nelle sue mani l’ascesi religiosa di decenni di lavoro.
S’è accomodata sullo sgabello ed ha allungato dita
affusolate e delicatissime e pur capaci di tocchi a quando energici, a quando
lievissimi, sui tasti bianchi e neri, che ne sembravano giocose appendici naturali.
Così, ogni
volta che colpiva quei tasti, si levava invisibile ed ammaliante un’arcana
danza di note meravigliose e catturanti.
La sua
musica mesmerica ha conquistato tutti i presenti, che affollavano – ma nel vero
senso della parola: affollavano – platea e palchi traboccanti del mirabile scrigno, manco
si stesse esibendo un divo del rock.
Certo, c’era chi poteva anche evitare di ciarlare durante l’esibizione, però, lo riscattava chi, lasciando dilagare nell’anima silenzio antico, restava solo col suo respiro
fino a quando segretamente non s’amava con la melodia, che piano si levava.
Infine, gli scrosci
sinceri ed inarrestabili degli applausi, con annesse richieste di bis, hanno
salutato l’artista nipponica. Che, con soavità orientale, con gli
occhietti fiammeggianti cercava per gratitudine pure l’ultimo spettatore ascoso in piccionaia.
Non
sappiamo perché, ma uscendo dal teatro e incrociando gli sguardi emozionati di
molti concittadini, abbiamo pensato che anche da queste esperienze
profondamente toccanti può rinascere la nostra città…