«Il testamento filosofico di Sergio Quinzio».
Don Ciccio Savino, rettore della basilica Santi Medici, parlando di “Tenerezza di Dio”, l’ultimo libro di Leo Listingi, presentato ieri l’altro al “Mazzini Place”, non ha dubbi, «perché grazie a questo scritto l’autore riesce a sintetizzare il pensiero del filosofo di Alassio».
“Tenerezza di Dio” (titolo scelto da Elisabetta Rasy, scrittrice ebrea, e giunto alla sua V° edizione), è il viaggio interiore di uno dei pensatori, teologi ed esegeti biblici più importanti del XX secolo, scomparso nel 1996.
Intervistato da Listingi, giornalista e docente di Scienze delle Religioni, Sergio Quinzio ripercorre la sua vita, rievocando le vicende, gli affetti, gli incontri che più l’hanno segnata. E anche i momenti più duri, come quello della morte, a soli 30 anni, della prima moglie, che lo costringe a un periodo di profondo isolamento, a passare 14 anni in un piccolo paese delle Marche dove si dedica alla lettura della Bibbia, «che studia filosoficamente e filologicamente», sottolinea don Ciccio.
E poi c’è il suo pensiero. Negativo ma non nichilista.
Perché «per Quinzio la verità non è possesso, ma un percorso fatto di dibattiti, di incontri e di lacerazione», sottolineano all’unisono il rettore della basilica Santi Medici e Listingi.
Secondo cui Quinzio «non crede nella scienza ermeneutica e riteneva Dio sempre uno sconfitto e mai onnipotente, e lo dimostra proprio la morte in croce di Gesù. Cristo quando muore non riesce a dare salvezza all’uomo, perché questa si raggiunge soltanto nel futuro e lontano da un mondo che è irrimediabilmente orrore».
Il teologo di Alasso, inoltre, giudicava in modo negativo anche il Concilio Vaticano II, «in quanto ha avvicinato la Chiesa alla modernità», ricorda don Ciccio.
Che poi chiude con una critica alla stampa: «Leggendo i giornali, oggi vediamo soltanto l’interpretazione dei fatti e non la loro spiegazione».