“Vogliamo il pane, ma anche le rose”. Lo
chiedeva, un secolo fa, Rosa Luxemburg, uno dei massimi esponenti del
socialismo di inizio ‘900, affinché al diritto al lavoro si accompagnasse anche
quello alla dignità e al rispetto.
“Una frase che, ancora oggi, conserva la sua
validità, in un’epoca in cui le condizioni dei lavoratori arretrano a quelle
del diciannovesimo secolo” secondo Michele Vacca, segretario bitontino
della Federazione Giovani Comunisti, che, venerdì sera ha ospitato, presso il
Circolo Peppino Impastato, Daniele Di Maglie, autore di “L’Altoforno. L’Ilva
nei racconti e nelle canzoni di un cantautore di Taranto”.
Un
opuscolo per spiegare, attraverso storie, racconti, canzoni le conseguenze
della presenza dell’Ilva sul quartiere Tamburi e sull’intera città di Taranto.
“Amo Taranto e amo il quartiere Tamburi. Ci
sono nato e cresciuto. Un quartiere che esisteva ben prima dell’insediamento
dell’Ilva, pieno di gente che non vuole andarsene” ha introdotto Di Maglie,
che rivela di aver scritto l’opera per spiegare il difficile e controverso
rapporto tra la fabbrica e la città di Taranto.
“Ma non amo l’Ilva – aggiunge – Molte persone che conoscevo sono morte per
patologie riconducibili ad essa. Molti bambini nati negli ultimi decenni sono
affetti da malattie. E il mio quartiere è quello che più di tutti ha sofferto
per la sua presenza, divenendo una sirta di dormitorio della fabbrica“.
Ma
la consapevolezza delle nefaste conseguenze ambientali è arrivata, per il
cantautore come per l’intera città, troppo tardi, a causa di una “passiva assuefazione dei cittadini”
e di una “colpevole propaganda volta
a presentare lo stabilimento, come il pass-partout per il futuro, che avrebbe
aperto le porte del mondo del lavoro a molti tarantini“.
“Sappiamo che non è stato così, dato che
molti degli occupati non erano di Taranto ma provenivano dalla provincia”
conclude Di Maglie, aggiungendo che ancora oggi ci sono molte persone, anche
sue concittadine, che negano un filo diretto tra patologie e fabbrica: “C’è stato in uso doloso del linguaggio, che
ha sempre distinto il diritto alla salute da quello al lavoro, come se l’uno
fosse incompatibile con l’altro. Questo ha portato lavoratori e ambientalisti,
gli uni contro gli altri“.
L’argomento
ha fornito anche l’occasione per affrontare argomenti più vicini a Bitonto,
come la questione della discarica di materiali ferrosi che la Fer.Live vorrebbe
realizzare nell’agro cittadino. A parlarne è stato il consigliere del Partito
Socialista Francesco Mundo, ospitato per l’occasione: “Il timore è che vogliano creare una seconda Taranto, collocando rifiuti
tossici in una cava distante dalla frazione di Palombaio solo un chilometro e
sconfinante nell’alveo del torrente Tiflis”.
“In un primo momento, Comune e Provincia
avevano dato un po’ troppo allegramente l’assenso alla realizzazione del sito
di stoccaggio” accusa Mundo, che, commentando gli ultimi sviluppi della
vicenda, avverte: “La Fer.Live non ha
affatto rinunciato al ricorso, ma solo alla procedura d’urgenza. Temo che la
volontà sia di prendere tempo e aspettare che le acque si calmino”.