Il 3 gennaio 1954 l’annunciatrice Fulvia Colombo inaugura il Programma Nazionale, l’attuale Rai 1.
Sono passati 60 anni da
quando la “grande scatola” ha dato il via alle trasmissioni, facendo il proprio
ingresso nelle case degli italiani.
Nel tempo, il televisore si è fatto sempre meno ingombrante, dal bianco
e nero si è passati al colore, al Programma Nazionale si sono affiancati il
Secondo, il Terzo Programma e le reti private. Tanti sono i cambiamenti che la
televisione ha subìto.
In occasione di questo traguardo, a ripercorrere la storia della Raie della
comunicazione in Italia ci ha pensato “Un format per la realtà”, primo libro della giovane studiosa Marina
Mongelli, presentato venerdì sera al Torrione Angioino.
L’autrice «ha realizzato il sogno di veder pubblicata
la sua tesi di laurea», spiega il direttore
del “da BITONTO”, Mario Sicolo.
Nel lavoro
di Marina Mongelli, dottoressa in Filologia Moderna, l’attenzione è focalizzata
in particolare sui rapporti tra il
Gruppo 63 e la televisione italiana.
Il
movimento, ispirato al tedesco Gruppo 47, accoglieva poeti, scrittori, critici
e studiosi animati dal desiderio di sperimentare nuove forme di espressione,
rompendo con gli schemi tradizionali.
Il gruppo
di Neoavanguardia non si occupava solo di letteratura, ma anche di
architettura, musica, e contava esponenti come Umberto Eco, Edoardo Sanguineti.
Tra loro c’era
anche Angelo Guglielmi, già in Rai
grazie al concorsone del 1954 e capostruttura di Rai 1 dal ’76, che diverrà direttore della Rete 3 nel 1987.
Nel 1975, al
termine dell’epoca Bernabei, la Rai
era chiamata ad una trasformazione che avvenne il 14 aprile con la Legge n.103. Le nomine diventavano parlamentari anziché governative, aprendo la
spartizione delle reti tra partiti politici. Inoltre, si procedeva all’implementazione
di una terza rete televisiva da
affiancare al Programma Nazionale e al Secondo
Programma, ribattezzati Rete 1 e
Rete 2.
Grazie a Giuseppe Rossini, nasce “Il
Processo del Lunedì” di Aldo
Biscardi, il più longevo talk-show sportivo, ma è solo in epoca Guglielmi
che la “cenerentola” del servizio pubblico, diventa una rete innovativa e
coraggiosa.
“Un giorno
in pretura” diventa l’emblema
del suo operato. «Le telecamere escono dagli studi per captare la
realtà e la trasformazione sociale» spiega Marina Mongelli.
“Telefono giallo” o “Chi
l’ha visto?” cambiano ancora il modo di fare televisione. «La trasmissione in diretta si apre alle
telefonate che possono sconvolgere tutto quanto», continua la dottoressa.
È l’alba della “tv
verità” e dell’infotainment che mescola
l’informazione allo spettacolo, la verità alla finzione.
«Oggi
possiamo dire che avevano ragione coloro che criticavano Guglielmi. La finzione
ha preso il sopravvento» è il commento dell’autrice. Ed è solo uno dei mali
della televisione odierna dove gli intellettuali sono ignorati, i programmi culturali
sono tagliati per dar spazio a trasmissioni trash e/o spettacolari.
Le nuove reti, frutto del digitale terrestre, non
sono sufficienti ad innalzare il livello e persino le reti specializzate si
rifugiano in documentari datati o trasmissioni poco coinvolgenti.
Allora qual è il modo per rendere la tv più di qualità?
La risposta-augurio è nelle parole di Marina
Mongelli: «Bisognerebbe sperimentare,
tentare di dare un nuovo volto ai programmi culturali per renderli più
entusiasmanti».