Da molti Gabriele D’Annunzio è ricordato come l’autore decadente
per eccellenza, quello del “vivere inimitabile”.
Eppure, dell’artista pescarese c’è un periodo
non sempre analizzato, cosiddetto “della bontà”: si faceva sentire l’influenza
di giganti della letteratura quali Zola e Dostoevskij. Ed appartiene proprio a questa
fase della sua parabola creativa “Giovanni Episcopo“,
racconto d’un cuore indelebilmente ferito e irrimediabilmente perduto in un
labirinto di dolore.
Il
ruolo dell’impiegato Episcopo è stato interpretato dal prof. Peppino Ricci sul palco del teatrino
dell’Istituto “Sacro Cuore”.
L’uomo,
che ha condotto una vita mediocre, conosce cenando tutte le sere con i colleghi
nella medesima pensione una cameriera giovane e piacente, Ginevra, di cui si
invaghisce e che poi sposerà.
Nel
racconto che Giovanni sta facendo al Commissario di Polizia (interpretato dal
prof. Luigi Lauta), cominciato in
medias res, appare anche Giulio Wanzer – uomo risoluto e aggressivo che aveva
sottratto dei soldi dalla Tesoreria dell’ufficio ed era scappato in Argentina.
E
proprio quando per Episcopo sembra cominciato il momento della libertà, Ginevra
comincia a mutare il suo carattere diventando sempre più crudele e scostante
verso il marito. Nemmeno la nascita del primogenito salverà il loro matrimonio.
Ma
un giorno Wanzer e, mentre Giovanni è a lavoro, torna e si introduce in casa
dell’uomo e picchia sua moglie: Episcopo non resiste, prende un coltello dalla
cucina e uccide il collega.
Si
tenta, così, di analizzare un crimine nella sua crudezza narrativa: si
raccontano i motivi delle azioni che sono sempre frutto di un sentire, di un
amore malato e allo stesso tempo viscerale.
“E’ un’opera che colpisce,
perché narra di un uomo buono che compie un delitto efferato a causa
dell’amore per il figlio e della gelosia per la moglie. Autentico dramma
della solitudine e della emarginazione sociale, è la storia di un individuo
sempre alla ricerca di una identità sociale, con quel che comporta la delusione
di questa vana questua e con un timido accenno alla speranza che sia il bene a
trionfare, incarnato dalla rondine, simbolo di libertà“.
Ad illustrare il romanzo dannunziano è il prof. Nicola Fiorino Tucci,
presidente dell’Associazione docenti Bitontini, che in
collaborazione con “Vox Media”, ha portato in scena lo
spettacolo.
“E’ un inetto che per un giorno
diventa eroe con un omicidio“, osserva il prof. Luigi Lauta; il prof. Peppino Ricci,
propone, infine, di “approfondire nei programmi scolastici aspetti spesso sottovalutati
di grandi autori, andando oltre le comode etichette dei libri di testo, magari
attraverso la lettura diretta dei loro capolavori“.