Le poesie del bitontino Vincenzo D’Acciò sono “tracce di un tempo vissuto intensamente ma che inesorabilmente si perdono nel flusso dei giorni e degli anni delle nostre vite così ansimanti, a volte boccheggianti e inspiegabilmente tristi” come nell’introduzione alla silloge dal titolo “Frammenti di un tempo perso”, Morlacchi editore, acutamente osserva un altro nostro concittadino di gran vaglia, Francesco Piperis.
Sono ambedue (ex) ragazzi che per “virtù e canoscenza” hanno riposto il cuore nel trolley ed hanno salutato la città degli ulivi per costruire il domani altrove.
La raccolta di Vincenzo, dunque, è fatta di poesie che già graficamente ricordano i granelli di sabbia che calano da una parte all’altra della clessidra e cantano, ora dolenti, ora gioiosi, la nostra sfida all’invido Crono. Francesco parla anche di “nostalgia”, che pare essere scomparsa dai versi di D’Acciò e che, invece, proprio perché sussunta nell’anima ancora c’è e palpita forte dentro.
D’altronde, la tenzone incessante con i giorni che scorrono e corrono altro non è che l’interminata “ricerca di noi stessi”: “respiriamo profumi di anni trascorsi/scivolando sui ricordi/sassi levigati dal tempo/dai continui richiami della memoria”. I miracoli che ci sfuggono: l’incontro degli occhi in fondo ad uno specchio e le parole giuste per dirsi: può essere tutto o solo questo il nostro transito fugace quaggiù.
L’appuntamento fatidico con la Poesia, le opere degli autori che Vincenzo ha amato e che hanno scandito finora la sua vita, rinnovellando ogni volta emozione e stupore Una magia che riappare ogni qual volta: “parole messe in fila toccano le corde dell’emozione/del cuore/dell’anima./Le stesse corde,/a volte bruciacchiate/a volte allentate,/vibrando emettono quei suoni meravigliosi/che accompagnano la nostra vita in ogni attimo/descrivendone la meravigliosa colonna sonora”.
Ma quale può essere la quintessenza del vivere quotidiano se non l’amore, il sentimento più nobile e più violato della nostra contemporaneità. “Un amore tenero e forte per i figli (“Quando non ci sei/il mio sorriso svanisce/perché resti l’unica che lo custodisce”) e per i piccoli in generale, i cui sorrisi non vanno delusi, mai. Amore per la famiglia, condensato in un “trittico familiare” caldo e potente (Mio padre, Presenza, Lontano da mia figlia). Amore per le donne, le cui pagine contengono un Vincenzo passionale, carnale, contraddittorio, umano. Per l’umanità, sconfitta e cinica, stupenda e indifferente (“Lo sguardo triste di un bambino trascina l’umanità nell’abisso”)”, illustra sempre puntuale Piperis.
Quest’amore, che “arriva sempre all’improvviso/approfittando dell’oscurità/per coglierti di sorpresa/arriva di notte/con il fiato corto/e non ti fa scappare”, conosce anche una robusta declinazione sociale, che vieppiù lo impreziosisce.
Insomma, “Frammenti di un tempo perso” è il cammino di un cuore che trema di purezza bambina dinanzi alle meraviglie dell’esistenza, che non sono affatto lontane e irraggiungibili come immagini riflesse in un retrovisore, ma si faranno eterne perché immortalate da una casta veste lirica.