New York non ha bisogno di altre parole per essere descritta.
È una realtà che abbiamo studiato nei libri di storia, che abbiamo sognato di vivere guardando i telefilm in streaming, che abbiamo invidiato considerandola a confronto con la nostra vita di ogni giorno.
Parlo di realtà e non di città, volutamente.
Già Manhattan – e al suo interno Central Park, un cuore verde che batte – è una città di per sé e quando parliamo di New York ci limitiamo a pensare a grattacieli, ad Upper east e Upper west side, a donne in carriera, a uomini che lavorano persino il 24 dicembre, a Tiffany, alle grandi firme, ma New York è molto di più; è un puzzle composto da cinque grandi tasselli fra loro funzionali: Manhattan, Brooklyn, Staten Island, Queens e Bronx.
C’è solo una piccolissima parte della popolazione che vive stabilmente fra l’Hudson e l’East river; la maggior parte di coloro che si incontrano sulle strisce pedonali (continuamente affollate) e sugli spaziosissimi marciapiedi, vi si riversano solo per lavoro e tornano di sera ad abitare quartieri più popolari e alla loro vita “normale”.
Manhattan richiederebbe molti molti dei vostri dollari per essere vissuta ad alti livelli! La “Big Apple” è una grande perla di vetro che nasce in un mare di città e paesaggi tutto sommato simili fra loro e in qualche modo vi fa “pagare” la sua unicità.
Immaginate un deserto da cui spuntino dei giganti e immaginate le vostre espressioni dietro i vetri dal classico Taxi giallo immortale e intramontabile che vi porta a destinazione. La prima volta a New York gli occhi sono spalancati come quelli di un bambino davanti a una magia.
Anche il clima sembra essere oggetto prediletto della magia di qualche grande maestro: le nuvole compaiono, scompaiono, si compongono e scompongono con una velocità che sfugge all’occhio umano.
E così a Wall Street fa freddo perché il sole si nasconde dietro i grattacieli come camminaste in un Canyon, poi a Little Italy il caldo scotta la pelle ma vengono ugualmente un po’ i brividi a pensare che qualche oste potrebbe essere un antenato scappato all’Italia molti anni prima.
Manhattan parla anche un po’ di noi. Soprattutto molti parlano come noi e sentono come noi. La lingua italiana e il cibo italiano sono due elementi fondamentali che spiccano in una tale commistione di umanità.
E agli italiani pare assurdo che molti americani facciano a gara per imitarli, ma è così!
C’è un ingrediente essenziale che però li diversifica profondamente dagli europei. Più della cultura, della cucina, del modo di vivere dedito al lavoro; più dell’architettura, della capacità di investire intelligentemente, degli usi e dei costumi liberi.
I “newyorkers”, che pure sono stati offesi da attacchi e minacciati a livello militare molto più di tanti altri popoli, sanno gestire la loro paura e – cosa più apprezzabile – non si chiudono al mondo. Rispondono al timore con l’accoglienza e la tolleranza; rispondono alla xenofobia con la libertà di professione e di abbigliamento; rispondono alla singolarità di pensiero con un caleidoscopio di colori, umori, profumi, legami …e non si nascondono nelle loro case tranquille ma sfidano ogni giorno le strade del mondo.
Si potrebbe scrivere molto di più ma consiglio a tutti, come prima esperienza da fare non appena si abbia disponibilità di tuffarsi fra le braccia calorose dei newyorkesi e di rimanerci finché si sia stati contagiati da un pizzico di profonda libertà.